Nell’ambito del ‘Milano Fashion Global Summit 2021’ dello scorso 26-28 ottobre, Claudio Marenzi – Presidente e Amministratore Delegato di Herno – e Jacopo Schettini Gherardini – Direttore dell’Ufficio Ricerca di Standard Ethics (unica agenzia di rating internazionale dedicata alla sostenibilità) – hanno affrontato insieme le molteplici sfumature e ombre di un tema quanto mai attuale e sentito: la sostenibilità.

Marenzi ha riportato la sua esperienza di uomo di azienda e di uomo di istituzioni, essendo stato presidente di SMI, presidente di Confindustria Moda e attuale presidente di Pitti Immagine, ma anche di uomo di sostenibilità. Il presidente di Herno, infatti, è stato uno dei primi a parlare di sostenibilità in Italia, quando nel nostro Paese parole come ‘Environmental, social and governance’ (ESG) erano ancora pressoché sconosciute, e già nel 2010 i siti produttivi di Herno sono stati resi autosufficienti in termini energetici e a impatto zero, mentre a partire dal 2014 l’azienda ha intrapreso la mappatura dell’impronta ambientale dei capi con il PEF (Product Environmental Footprint).

E, tuttavia, Marenzi afferma che ciò a cui abbiamo assistito in questi dieci anni è un ‘percorso’ verso l’ideale di sostenibilità, più che una svolta tout court. Questo perché la sostenibilità non può che essere un processo progressivo e graduale, che parte dall’industria, prima ancora che dal marketing: la sostenibilità non può che avere inizio a monte del processo produttivo, dalla chimica, dalla possibilità di disporre di filati e tessuti sostenibili in termini di biodegradabilità e riciclabilità. In questo senso c’è, quindi, uno sfasamento temporale tra narrazione e marketing a tema di sostenibilità, e la necessità di tempi medio-lunghi tipica dei processi industriali, necessari per trasformare la sostenibilità in realtà concreta, nonostante l’Italia sia senza dubbio tra i Paesi più avanzati in questo percorso.

 

La sostenibilità è ‘cool’

“Se fino ad un decennio fa era considerato ‘figo’ essere seduti su una 12 cilindri, oggi è più ‘cool’ guidare una 700 cavalli, che però è elettrica e silenziosa”: questa citazione di Marenzi sintetizza come oggi la sostenibilità sia un argomento sentito e di tendenza anche presso il largo pubblico. E parlando di moda-abbigliamento, bisogna considerare che, se è vero che il settore è il secondo più inquinante al mondo, è anche vero che l’esposizione al giudizio del consumatore è costante. Questo ‘essere sotto i riflettori’ ha portato il comparto moda, più di altri, a rispondere ai nuovi bisogni del consumatore di prodotti ‘green’ soprattutto attraverso pure operazioni di marketing, esponendosi al cosiddetto ‘green washing’. Inoltre, come sottolinea Schettini, il settore moda-tessile è piuttosto complesso, perché prevede una filiera molto lunga, è molto diversificato da azienda ad azienda, e presenta sfide importanti in termini di governance. Il mondo della moda, però, si sta via via allineando alle sfide ESG e, secondo Schettini, è in grado di affrontare queste nuove sfide in modo più originale e innovativo di altri.

Non ci sono ‘pasti gratis’ nel campo della sostenibilità

Se la sostenibilità è oggi senza dubbio ‘cool’, non ci sono dubbi che abbia anche un costo economico: necessita, infatti, di investimenti in tecnologie, in nuovi materiali, ma anche in processi produttivi di realizzazione dei prodotti stessi. È importante, però, come sottolinea Marenzi, che questi costi non vengano scaricati completamente sul consumatore finale, per non rischiare di cadere in una situazione analoga a quella del food ‘bio’, che resta un mercato di nicchia a causa dei costi troppo alti. Il surplus di costo legato alla sostenibilità va invece ‘spalmato’ sull’intera filiera, e questo chiama in causa anche la ‘sostenibilità etica’ e il tema della giusta marginalità e del giusto guadagno, perché se le aziende perseguono esclusivamente la logica del maggior margine di profitto possibile, il costo della sostenibilità non può che scaricarsi completamente sul consumatore finale. Tanto più che non esiste a oggi un EBITDA (margine operativo lordo) corretto per i costi e i miglioramenti conseguiti in termini di sostenibilità.  Bisognerebbe, invece, ragionare su una marginalità ridotta per aziende e investitori, a favore di un allargamento del mercato dei prodotti sostenibili: questa è una delle grandi sfide future.

Parametri condivisi e reciprocità

L’ultima, ma non meno importante sfida alla sostenibilità sostanziale è legata alla presenza di parametri accettati e condivisi da tutti, e alla reciprocità a livello globale. Come sottolinea Marenzi, in Italia, e soprattutto nell’ambito delle PMI, si tende a ‘fare’, a mettere cioè in atto azioni che mirano a ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente, senza tuttavia seguire parametri e certificazioni riconosciuti e condivisi, così da allineare la parte aziendale, finanziaria e di mercato. Manca, inoltre, una reale reciprocità tra i Paesi più avanzati, sempre più condizionati da regolamentazioni severe sull’inquinamento e la tutela della salute e dell’ambiente, e Paesi – come quelli asiatici – dove queste regole non esistono, e che commercializzano liberamente i loro prodotti in tutto il mondo, godendo di fatto di una situazione di concorrenza sleale. Tanto più che questi Paesi fanno passare al consumatore finale il messaggio – sbagliato – che si possono realizzare prodotti sostenibili in modo ‘economico’, quando invece il costo della sostenibilità andrebbe debitamente riconosciuto e opportunamente condiviso tra tutti gli attori del sistema.

Claudio Marenzi – Herno
Jacopo Schettini Gherardini – Standard Ethics