di Tania D'Ausilio

L’enorme spreco di materiali, la grande difficoltà a garantire il riciclo di una enorme massa di rifiuti, l’impiego intensivo di risorse naturali nel processo produttivo, fanno della moda un settore tra i più inquinanti al mondo. Per questo, nel tempo, anche il consumatore, sicuramente più consapevole, ha imparato a essere più attento, a ricercare nei prodotti alla moda garanzie di qualità: dalla tracciabilità di filiera alla sostenibilità non soltanto ambientale, ma anche di tipo etico. Sono diversi gli aspetti di cui bisognerà tenere conto, e siamo in netto ritardo rispetto al resto d’Europa considerando che soltanto da febbraio 2021 anche il nostro Paese ha istituito un Ministro della Transizione Ecologica. A oggi, secondo un'indagine condotta dalla Commissione Europea, ogni cittadino produce circa 11 chilogrammi di rifiuti tessili e di questi l’87% finisce in discarica. L’obiettivo europeo sarà quello di ridurre, entro il 2035, al 10% questa percentuale così poco sostenibile. Un obiettivo raggiungibile solo attraverso attività di riuso e riciclo. Un bersaglio che si potrà centrare solo con filiere in grado di gestire il consumo anche dopo il fine vita del prodotto… e qualcosa si muove. L’intero sistema moda, infatti, sta cercando di adeguarsi mettendo in atto diverse strategie.

È nato, infatti, il nuovo consorzio RETEX.GREEN per il riciclo nella moda. Un sistema collettivo che vede coinvolti i produttori italiani per la gestione dei rifiuti del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria.
L’iniziativa è stata presentata durante l’inaugurazione di Pitti Uomo 101 dal presidente di SMI (Sistema Moda Italia), Sergio Tamborini, che ne ha reso noto anche lo scopo. Il Consorzio nasce con la volontà di dare vita ad una gestione ottimizzata dei rifiuti provenienti dall’industria della moda, fornendo un concreto strumento da implementare nel processo industriale a tutti i livelli della filiera e dare vita a un percorso virtuoso, in un’ottica di sostenibilità ambientale.

SMI e Fondazione del Tessile Italiano, in qualità di soci e fondatori, svolgeranno il ruolo di garanti della responsabilità estesa del produttore, detta anche “Extended producer responsibility” o più brevemente EPR, ovvero un approccio nel quale il produttore è responsabile anche della gestione dei rifiuti post consumo. In questo senso RETEX.GREEN si pone come supporto per raggiungere una maggiore sostenibilità della filiera attraverso un network qualificato di fornitori che si occuperanno di tutte le fasi connesse alla raccolta, selezione e cernita, avvio al riutilizzo, riciclo e valorizzazione dei rifiuti provenienti dai prodotti del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria.
L’obiettivo del Consorzio sarà quello di fornire “buone pratiche” nella gestione dei rifiuti in un’ottica di trasparenza, riuscendo a restituire risultati di miglioramento quantificabili e misurabili. Nello specifico il Consorzio si occuperà di svolgere e migliorare la qualità della raccolta differenziata e la gestione dei rifiuti provenienti dai settori dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria con lo scopo di incrementare la sostenibilità dell’intera filiera sia da un punto di vista ambientale che etico. Avrà anche il compito di promuovere tra i propri consorziati le attività di prevenzione della produzione di rifiuti, la produzione e l’utilizzo di materiali riciclati e progetti di economia circolare, così da massimizzarne il recupero ed evitare il più possibile il ricorso allo smaltimento. Inoltre, si pone come supporto alla realizzazione degli adempimenti normativi, nella comunicazione, nell’educazione ambientale, progettazione, ricerca e sviluppo oppure per attività consulenziali, commerciali e logistiche. Infine, il Consorzio si pone come trait d’union anche con tutti i portatori di interesse della filiera, comprese Istituzioni e associazioni di categoria. RETEX.GREEN rappresenta un partner autorevole e preparato per accompagnare qualsiasi consorziato sul percorso verso la sostenibilità.

Parlare di sostenibilità non basta, serve trasparenza
Intraprendere un percorso di sostenibilità per un’azienda non è, però, sufficiente. Servono dati incontestabili che dimostrino il reale impegno e gli obiettivi raggiunti. Le aziende che parlano di Green senza riscontri finiscono in tribunale. È successo in Danimarca, dove aziende che praticavano ‘greenwashing’ sono state multate. Questa ‘ecologia di facciata’, queste attività che si nascondono dietro l’uso improprio di termini come 'sostenibile’, utilizzati per classificare processi a favore dell’ambiente che, in realtà, non trovano nessun riscontro in dati di monitoraggio o efficientamento, sono sempre più diffuse. È noto, infatti, che nel 2021 la Commissione Europea, attraverso uno screening di molti siti, ha scoperto che la metà delle ‘affermazioni ecologiche’ da parte delle aziende analizzate mancava di fondamento e prove. A tal proposito la Danimarca è corsa ai ripari e ha pubblicato una raccolta di esempi di decisioni giudiziarie come parte di una nuova ‘guida rapida’ su come affrontare il marketing ambientale, destinata alle aziende. In generale, tra gli strumenti indispensabili e consigliati per fornire prove concrete rispetto a qualsiasi affermazione di sostenibilità, è suggerito l’impiego di uno studio LCA. Un metodo standardizzato su base internazionale che permette di quantificare i potenziali impatti sull’ambiente e sulla salute di un qualsiasi prodotto. Dal consumo di risorse alle emissioni, considerando l’intera filiera.
Ormai, parlare di sostenibilità per le aziende, sia del comparto moda che in generale, non può più essere solo materia per un ottimo storytelling. Al consumatore serve riprendere fiducia e chiede trasparenza a tutti i livelli.