Damiana Spoto

"Credo al grande ritorno dell’artigianato, quello d’eccellenza, perché il vero lusso, oggi, è nell’arte delle mani”.
Damiana Spoto è una stilista siciliana con un grande occhio per le previsioni di tendenza. Dopo aver frequentato l'Accademia di costume e moda di Roma, dove ha studiato abbigliamento e design tessile, fa esperienza da Romeo Gigli, Giovanni Cavagna e Les copains, per poi trasferirsi a Parigi e lavorare nella ricerca tendenze per Nelly Rodi e Lj. Edelkoort, con cui ancora collabora come consulente. Un master in previsione tendenze presso il Polimoda International Institute of Fashion & Design, e poi ancora Gucci, John Richmond, Pianura Studio e Alisy.
La sua linea di borse, stole e foulard le4uadre prende vita nel 2015 e trova casa in Basilicata.

Il tratto distintivo delle sue creazioni?
“Gli accessori le4uadre, tutti rigorosamente italiani, si distinguono per i loro tessuti moderni e innovativi, le forme versatili e le stampe immersive e poetiche ispirate alla natura e all'arte.
I disegni esclusivi dei prodotti le4uadre nascono da un'immagine interiore, acquistano forza attraverso il disegno a grafite o la fotografia e prendono definitivamente forma attraverso una stampa raffinata, a tiratura limitata. A completare il lavoro, le sapienti mani di maestranze lucane.
Una le4uadre è l’occasione per ricordarsi che la vita è solo un gioco, che va giocato in fondo, e che non c’è mai nulla di male a essere ancora bambini”.


La parte cruciale del suo lavoro?
“Le stampe sono ciò su cui più mi concentro e che mi chiede più impegno e fatica. Sono pulsazioni colorate, hanno il ritmo e la vitalità delle ceramiche siciliane, dei tappeti persiani guardati sotto luci al neon. Sono qualcosa che non ti dimentichi su un tavolo o su un divano perché ti chiama, perché grida colore. Piacciono perché a livello inconscio le persone riconosco dettagli o luoghi a loro cari. Io non faccio che reinterpretare natura e posti che fanno parte del nostro arredo e corredo urbano (dagli alberi ai particolari di una chiesa gotica…). Si trasformano, così, in poesia urbana che trae spunto dai centri storici delle nostre città e li trasforma in armonia.
Di recente mi sono molto impegnata anche nella ricerca di materiali che assecondassero un mio particolare desiderio, come la fibra di latte”.

Fibra di latte? Da dove arriva?
“Dobbiamo fare un passo indietro. Siamo nell’Italia degli anni ’30, in piena campagna espansionistica coloniale. Il Regno d’Italia, con l’attacco all’Etiopia infrange il patto dello statuto della Società delle Nazioni e viene condannata a pesanti dazi doganali su beni di importazione dei quali non disponeva internamente. Da qui l’esigenza di trovare valide alternative a materiali scarseggianti. Per sostituire la lana, nel 1935, l’ingegnere bresciano Antonio Ferretti, mette a punto il Lanital, una fibra di latte autarchica, italianissima. Un materiale che cadrà in disuso nel secondo dopoguerra in conseguenza del dilagante diffondersi delle fibre derivate dal petrolio”.

Quali le sue caratteristiche e vantaggi?
“Prima di tutto, essendo creata a partire dalla caseina del latte (scaduto e che andrebbe buttato), di cui conserva intatti gli amminoacidi, presenta una mano fantastica, morbida e soffice.
In secondo luogo, è altamente salutare: antibatterica, dissipa l’umidità e agisce da termoregolatore, protegge in modo naturale dai raggi UV ed è dermatologicamente testata.
Infine, è compostabile, quindi assolutamente rispettosa dell’ambiente”.

Come mai la scelta è ricaduta su questo materiale così particolare?
“Questa pandemia mi ha veramente scossa, per i più ovvi motivi, ma anche perché mi ha fatto riflettere sull'impotenza dell'Italia, non più in grado di reperire certi prodotti se non dipendendo da altri. Avendo abbandonato molte produzioni, oggi non siamo più autonomi. Mi è scattato, credo, un moto di sano orgoglio. Così ho voluto non solo cercare un materiale che mi potesse assicurare il massimo rispetto per l'ambiente (ormai ce ne sono molti in giro), ma anche un materiale in grado di valorizzare l'ingegno e il lavoro italiano.
Io non ho inventato nulla, ma ho voluto recuperare una fibra che appartiene alla nostra tradizione e che rende merito alla nostra capacità di realizzare il bello e buono”.

I vostri mercati di sbocco?
“Dopo aver preso parte a diverse fiere di ICE all’estero, a White e Homi di Milano, a Who's Next di Parigi, abbiamo creato buone relazioni con il Giappone, la Francia e il Portogallo, oltre al mercato locale italiano e a una buona commessa a Pechino.
Contiamo di espandere il raggio d’azione grazie alla vetrina online che abbiamo da poco inaugurato”.