“Il settore moda Italia nel 2016 è andato molto bene: ha chiuso al +2% a quota 84 miliardi di euro di fatturato. L’export è stato di 62 miliardi mentre il saldo commerciale estero è arrivato a 25 miliardi, cifra che corrisponde a metà dell’intera bilancia commerciale estera italiana: un record assoluto”. Carlo Capasa, presidente di Camera della Moda Italiana, ha esordito così al IX Luxury Summit “Il lusso tra innovazione e nuove alleanze” del Sole 24 Ore del 24 maggio, rimarcando quanto sia necessario “Mantenere e consolidare questo primato: il sistema moda italiano promuove nel mondo un’immagine positiva di tutta l’Italia ed è uno 4straordinario volano economico”.
A trainare la crescita del settore moda e lusso è stato l’export, tema sul quale è intervenuto anche Claudio Marenzi, presidente di Sistema Moda Italia e della neonata Confindustria Moda: “La crisi mondiale innescata nel 2008 dal crac di Lehman Brothers ha messo alla prova il sistema moda Italia, ma oggi possiamo guardare al futuro con cauto ottimismo. – ha dichiarato – Primo, perchè oggi con Carlo Capasa ed il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda abbiamo avviato progetti di squadra di breve, medio e lungo termine. Secondo perchè il Made in Italy continua ad essere apprezzato nei mercati che crescono di più, come Cina e Corea del Sud in Asia, oppure come in Russia, dove stiamo recuperando le quote perse in passato… non possiamo però nascondere due problemi: il rallentamento dell’export negli Usa, 3causato dall’approfondirsi della crisi del retail nel Paese, e la crescita dei flussi turistici dalla Cina alla Russia, che sta penalizzando soprattutto Italia e Francia”.

Il Luxury Summit ha identificato le altre sfide che le aziende del lusso si trovano ad affrontare oggi: l’internazionalizzazione e la necessità di trovare capitali per realizzarla, la digitalizzazione e la sostenibilità.
Il lusso si sta confermando sempre più un settore capital intensive, che richiede oggi investimenti non minori a 1 miliardo di euro per rendere una azienda davvero globale. Ecco che i capitali stranieri possono allora venire in soccorso alle aziende italiane: “Le aziende italiane del lusso hanno un problema dimensionale – rileva Claudio Marenzi – i capitali francesi, cinesi o emiratini stanno entrando nel lusso italiano: non è una cosa negativa, a patto che i brand restino legati al made in Italy e mantengano produzione e posti di lavoro in Italia. Quando si sposta a governance fuori dal Paese, tutto diventa più complicato”.
Maurizio Castello, partner di KPGM Advisory ha fotografato le acquisizioni e fusioni del settore lusso italiano degli ultimi tre anni constatando un aumento nel numero dei deals, con investitori esteri molto attivi. Contemporaneamente il settore degli accessori a visto ridurre del 20-23% il numero dei deals. Tra i settori, la moda sovrasta per ebtida multipli tutte le altre categorie, mentre il retail è quello che ha la flessione maggiore. Tuttavia, non sono più sostenibili alti moltiplicatori: oggi gli investitori dei private equity puntano su brand più piccoli con un alto potenziale di crescita e maggiori opportunità di espansione internazionale, come i brand italiani “che generano circa il 20-50% dei loro profitti all’estero”.

La digitalizzazione è l’altra sfida del lusso: all’interno di una logica sempre più multichannel del retail, vincono le strategie che 2meglio sanno integrare negozio fisico con quello virtuale, ma anche chi sa rispondere meglio alla domanda crescente di customizzazione (non solo del prodotto, ma anche del servizio) da parte del cliente. “In questo contesto – spiega Davide Consiglio, principal di Boston Consulting Group – occorre un approccio sempre più mirato al cliente, occorre poterlo segmentare in maniera efficace per indirizzare una comunicazione più mirata, efficiente”. Per fortuna la tecnologia digitale attuale è risolutiva: “La potenza di calcolo di cui disponiamo oggi ci permette una capacità di previsione dei comportamenti dei consumatori che rasenta quasi la divinazione. Solo che è tutto vero e affidabile”.
Reale e virtuale si compenetrano di già nel retail del lusso: Pascal Houllon, Ceo di Cegid ha fornito al summit diversi esempi di come questo stia avvenendo “Il negozio è sempre più una app del retail dove un cliente “phygical” vuole una esperienza dove reale e virtuale si compenetrino”.
La tecnologia offre al lusso davvero tanti vantaggi: dalla possibilità di personalizzare il servizio, a uella di ridefinire il ruolo del negozio. Dal digital branding per ingaggiare il cliente alla possibilità di monitorare i suoi comportamenti e raccogliere dati sui quali poi sviluppare una esperienza personalizzata di vendita…. due altri aspetti sono interessanti: prima di tutto lo sviluppo del mobile come mezzo attraverso il quale si fanno acquisti, l’altro è il potenziale commerciale dei social network.

Ultimo aspetto trattato dal summit è la sostenibilità: uno studio di The Boston Consulting Group stima che da oggi al 2030 la sostenibilità potrebbe generare 160 milioni di euro di fatturato in più per l’industria della moda e, ovviamente, il lusso non può stare in disparte a guardare.
La case history di Save the Duck portata al summit è esemplare in questo senso: dimostra che migliorare le proprie performance davanti ad una richiesta sempre più vincolante da parte dei clienti e mercati internazionali porta un risultato concreto anche in termini di fatturato.