Come affronta il tema del sourcing, a quali concetti chiave fa riferimento?
“Il mio approccio al tema della catena di fornitura non è tradizionale e lineare, bensì circolare. Non ritengo che il cliente, o meglio il consumatore finale, sia solo il punto di arrivo di un qualsiasi processo produttivo, ma che ne sia anche l'ispiratore. Il consumatore influenza non solo l'ultima parte del processo di sourcing, ma anche ogni altro singolo aspetto, così come ogni parte del processo ha ricadute sull'intera catena del valore”.

In che modo il consumatore può incidere sulla catena di fornitura?
“Con le sue aspettative e i suoi desiderata. Oggi i clienti sono abituati a confrontarsi con altri prima di perfezionare i propri acquisti, a ordinare un prodotto dallo smartphone e si aspettano consegne rapide, in un giorno. Non viviamo più in una società disposta a programmare i propri acquisti e ad attendere 2 o 4 settimane prima di trovare o ricevere i prodotti. Viviamo nell'epoca del 'lo voglio o lo ho bisogno adesso'. Ciò condiziona o dovrebbe condizionare produzione e catena di fornitura”.

Che ricadute hanno questi concetti sull’industria?
“L’industria, la manifattura e l'intera catena di fornitura si è strutturata, negli anni, per realizzare una produzione da sempre fondata sull'idea di produrre in modo massivo ciò che riteneva il consumatore volesse. Il consumatore, quindi, non per forza comprava ciò che voleva, ma ciò che le aziende avevano previsto volesse.
Oggi, bisogna trovare il coraggio di ascoltare veramente il consumatore, capire cosa desidera e come desidera acquistare e, a quel punto, strutturare l'intero sistema affinché possa soddisfare e assecondare le sue esigenze.
Non smetterò mai di sottolineare il fatto che il consumatore di oggi è diverso da quello di ieri e, di conseguenza, il nostro modo di produrre non può essere lo stesso di un tempo”.

A cosa conducono queste considerazioni?
“Probabilmente a un utilizzo più intensivo e sistematico di quelle innovazioni legate e che promuovono l'automazione. Automatizzare i processi produttivi consentirà non solo di velocizzare i processi stessi, ma anche di avvicinare i luoghi di produzione ai mercati di vendita, e quindi velocizzarne le consegne. Infatti, si potrà gradualmente rinunciare a produrre in paesi lontani che ancora consentono l’accesso a una manodopera a basso costo, poiché di manodopera ci sarà sempre meno bisogno.
La domanda da porsi in questo momento è: le tecnologie di automazione attuali si possono effettivamente applicare al mondo della moda, e delle calzature in particolare? Vale a dire: sono applicabili con costrutto a prodotti ben diversi da quelli tecnologici, come con un'automobile o uno smartphone, a cui fino ad ora sono stati associati con successo? Funzionano le ipotetiche smart factory che consentirebbero un salto rivoluzionario nella catena di fornitura? Perché, nonostante il livello di innovazione tecnologica nel settore calzaturiero sia già molto alto, non è forse ancora in grado di gestire ordini personalizzati e permettere consegne da un giorno con l'altro. Siamo sulla strada giusta, ma non siamo ancora al traguardo.
Anche perché bisogna considerare come a tale tema, che intreccia Sourcing e Innovazione, vada relazionata anche la questione sostenibilità. Il che comporta ulteriori riflessioni da mettere sul tavolo per capire se e quando potremo realmente assistere a una catena di fornitura on demand che conquisti il mercato e che sia anche sostenibile”.

Quali altre tendenze agitano il mondo della fornitura?
“Un'altra tendenza che riscontro riguarda il livellamento dei rapporti fra Brand e Produttori. Fino a qualche tempo fa i brand comandavano senza problemi la propria catena di fornitura, che produceva esattamente ciò che i marchi chiedevano, nei tempi che chiedevano. Il settore a monte era consapevole che senza i marchi non avrebbe avuto sbocchi sul mercato.
Oggi, in alcuni casi, la situazione sta cambiando. Alcuni produttori hanno iniziato a lanciare i propri marchi e a competere direttamente sul livello dei brand, grazie alle opportunità aperte dalla rete e dal commercio elettronico.
Questo comporta una revisione dei rapporti di forza e molti marchi dovranno scegliere con cura i propri partner e instaurare con loro relazioni più strette e 'alla pari'.
Una relazione stretta che risulterà sempre più importante anche in ottica di sostenibilità visto che i prodotti dovranno assolvere sempre più a determinati requisiti lungo l'intera catena di fornitura”.

La pandemia ha dato vita a nuove problematiche che il mondo del sourcing dovrà considerare?
“Uno dei problemi più attuali che stanno impattando sul settore moda è quello legato alla logistica e ai container. Quando un anno fa il mondo si è fermato, abbiamo assistito da un lato all’impossibilità di accedere a molte materie prime necessarie alla produzione così da non riuscire a rispondere alla domanda del mercato e, dall’altro, a un calo della domanda che non ha più assorbito le merci di produzioni già in essere. Il paradosso ha prodotto una situazione tale da sbilanciare profondamente gli equilibri logistici internazionali, provocando una notevole escalation dei costi di trasporto. Oggi è difficile risolvere la situazione di navi e container allocati in modo non funzionale rispetto alle esigenze dei commerci internazionali, e che sta paralizzando il mercato e mandando alle stelle i costi dei trasporti. Una situazione che deve far riflettere sulla profonda interdipendenza che sussiste fra Paesi come USA e Cina, nonostante siano, negli ultimi anni, sempre sull'orlo di un escalation della nuova Guerra Fredda commerciale.
E proprio la guerra commerciale posta in essere dalla passata amministrazione statunitense, che potrebbe condurre a un ulteriore rallentamento del commercio, se non a un blocco, deve portarci a riflettere ancor più a fondo sui modelli di business attuali, sulla loro validità e sui rischi che nascondono.
Le aziende, così come hanno dovuto operare dei cambiamenti per affrontare la pandemia, devono prepararsi a cambiare per affrontare anche questo conflitto commerciale.
La flessibilità sperimentata durante la pandemia non dovrebbe scomparire del tutto dai modelli di business delle aziende perché rappresenta un valore aggiunto che potrebbe applicarsi positivamente a diverse situazioni, anche a quelle che ancora non siamo in grado di immaginare”.


CHI È Ellen Schmidt-Devlin
Dopo essere stata seguita personalmente da Bill Bowerman, la dott.ssa Schmidt-Devlin ha lavorato presso Nike per 27 anni. Si è laureata all’Oregon Executive MBA, dopodiché ha co-fondato il programma UO Sports Product Management, il primo programma Masters in questo campo. Da allora ha conseguito il dottorato di ricerca in Progettazione di sistemi sostenibili all’Università Case Western Reserve.