Il progetto i-generator nasce nel 2000 e, 4 anni dopo, Michael Steszyn entra a farne parte per occuparsi di innovazione, ingegneria di prodotto e produzione. Oggi ne è partner, insieme a Peter Rueegger, il quale si occupa della direzione marketing e del design. Insieme a due designer industriali, offrono una gamma completa di servizi come il posizionamento del marchio, la ricerca di innovazione, il design e lo sviluppo prodotto, la gestione dei contatti con le fabbriche. “L’unica cosa che non facciamo è vendere. Per il resto pensiamo a tutto noi: dall’idea al posizionamento, fino alla consegna dei prodotti in magazzino”.
Fra le collaborazioni eccellenti che i-generator può vantare si scopre quella con adidas, per cui hanno sviluppato sia il rivoluzionario arco plantare (separato dalla tomaia per una maggior reattività) della linea Pureboost X, sia le versioni rinnovate delle adidas Originals (Tubular, Soft Cell) che hanno permesso a un prodotto iconico di conquistare anche nuove fasce di mercato. Ci sono loro dietro il pallone da basket Nike GoPro, studiato per il training. Per Lululemon hanno adattato la filosofia yoga del brand all’inedita linea di calzature. Una delle loro più spiccate attitudini, infatti, è proprio quella di sviluppare intere linee di scarpe per marchi che decidono di fare brand extension verso il mondo calzature, come Under Armour (la prima scarpa da calcio), Scott e Giant.
Se doveste riassumere la vostra filosofia aziendale?
“Ci impegniamo a introdurre innovazione che porti concreti miglioramenti, non tanto al design, quanto alle prestazioni. Il nostro obbiettivo costante è aiutare i marchi a introdurre nuovi e rilevanti rinnovamenti multi-stagionali. Anche perché, nel mondo sportivo, gli investimenti su nuovi prodotti sono talmente rilevanti che i brand preferiscono puntare su innovazioni di lungo periodo piuttosto che su novità di design che la stagione successiva potrebbero già essere considerate vecchie”.
Da dove partite per immaginare una nuova linea di calzature?
“Dal target su cui il brand vuole puntare, soprattutto se è un brand già affermato nell’abbigliamento o in altri ambiti. Crediamo sia fondamentale spendere un dollaro in più su una singola storia di marketing che tre dollari su tre differenti racconti. Oggi più che mai è fondamentale non confondere il consumatore”.
Un vostro progetto che ritieni possa essere considerato un passo avanti dal punto di vista del design?
“A parte quelli già citati, penso a quando abbiamo aperto la strada all'idea di realizzare, per i modelli da golf di adidas, una scarpa destra diversa da quella sinistra. Oppure penso alla scarpa da triathlon di Scott, pioniera sia nell'ammortizzazione a bilanciere, che nel sistema di calzata dal tallone, indossabile e regolabile con un solo gesto. È un progetto di cui sono molto orgoglioso: abbiamo esaminato i triatleti e fatto in modo che guadagnassero tempo durante la transizione T2, sviluppando una scarpa dalle alte prestazioni in grado di supportare al meglio lo sforzo di un atleta che deve affrontare una maratona dopo aver pedalato per 100 miglia”.
Dal punto di vista tecnico, quale pensi sia il punto focale su cui concentrare l’attenzione quando si sviluppa una nuova scarpa?
“Nella produzione calzaturiera l’automazione è sempre più centrale. Quando progetti una calzatura devi già farlo pensando al processo produttivo. A un processo produttivo che dovrà essere ottimizzato al massimo così da ridurne i costi; un processo in cui il design tecnico incontri e sfrutti al massimo le possibilità offerte dall’innovazione tecnologica. Inoltre, oggi, molti brand pretendono un’estetica che conferisca ai prodotti uno status più elevato rispetto all’effettivo costo di produzione. Tenere insieme tutti questi requisiti non è semplice, ma è essenziale”.
Hai parlato di automazione. L’amministrazione Trump sta cercando di riportare molte produzioni negli Stati Uniti. Pensi che l’innovazione tecnologica possa riportare negli USA anche alcune produzioni calzaturiere?
“Keen lo sta facendo per alcuni suoi modelli. New Balance produce alcune scarpe negli US, così come Danner Boots. Noi abbiamo indagato la questione per alcuni clienti e non crediamo sia una possibilità per tutti. Il problema di fondo è che pur essendo fattibile l’assemblaggio finale della calzatura negli USA, materiali e componenti dovrebbero continuare ad arrivare dall’estero, con evidenti difficoltà a livello di tempistiche e costi. Mancherebbe l’industria dell’indotto che è quasi impossibile ricostruire, oggi, negli Stati Uniti. Le uniche produzioni che sarebbe verosimile incrementare sono quelle altamente automatizzate, come le Crocs, per esempio. O gli stivali in PU realizzabili con macchine a iniezione. Da considerare, però, che anche in questi casi bisogna essere strutturati per far girare gli impianti 24 ore al giorno, così da renderli profittevoli. Ciò detto, in una calzatura vi è sempre una componente manuale a cui non è possibile rinunciare, sia anche solo un’etichetta o un occhiello da applicare. E, allora, il costo del lavoro torna a incidere.”
Hai collaborato con marchi leader nel settore calzaturiero. Che consiglio daresti loro per gestire questo terribile momento per la società e per il mercato?
“Oggi devi capire con esattezza cosa si aspetta da te il consumatore e realizzare un prodotto che risponda pienamente alle attese che lui nutre rispetto al tuo marchio. Quando pensi a un nuovo modello di scarpe puoi puntare su diversi aspetti (eco-sostenibilità, moda, prestazioni, comodità): devi aver ben chiaro il messaggio che vuoi lanciare con il tuo prodotto.
I marchi migliori sono quelli capaci di rappresentare le esigenze, i desideri e le aspirazioni dei propri clienti.
Perché sono convinto che i brand possano fungere da catalizzatori per grandi cambiamenti riguardo temi importanti, come proteggere la diversità, l’ambiente, fronteggiare la povertà, ridurre le disuguaglianze di genere e promuovere l’uguaglianza razziale (si pensi al lavoro di Patagonia). Sono temi su cui un brand può influire, ed è probabile che le persone supporteranno sempre più proprio quei marchi capaci di incarnare i loro stessi ideali. Acquistare un prodotto, del resto, è un po’ come votare: un dollaro, un voto. Una forma di elezione che premia le aziende e i brand che più sono in sintonia con idee e aspirazioni dei loro clienti”.
Molti dichiarano di voler rallentare i tempi della moda e non puntare più su un consumo frenetico, ma sulla qualità. Pensi accadrà?
“Non lo so. È molto difficile dirlo. Personalmente spererei accadesse, perché ritengo si acquisti molto più del necessario. Troppo. Ma i cambiamenti profondi nelle abitudini delle persone sono quasi sempre dettati da forti motivazioni e bisognerà capire se questa pandemia genererà effettivamente forti motivazioni nelle persone per ridurre i propri consumi, e li porterà a scegliere prodotti più cari, ma più durevoli. Senza considerare il fatto che vi è anche un discorso di ‘opportunità di acquisto’ da tener presente: non tutti in tutto il mondo possono permettersi di scegliere se acquistare una scarpa da 20 o da 100 dollari”.
Quale può essere la prossima vera e profonda innovazione capace di cambiare il processo di progettazione di una calzatura?
“Se ci si fa caso, la qualità e l’affidabilità di un qualsiasi prodotto, anche di quelli a basso costo, negli ultimi anni è cresciuta tantissimo. Credo che in questo abbia giocato un ruolo cruciale la digitalizzazione che sta cambiando e continuerà a cambiare il mondo della produzione. Esattamente quale sarà la prossima grande innovazione, non so. Se lo sapessi, investirei su quella e andrei in pensione!
Lato manifattura immagino sempre più soluzioni che ridurranno gli interventi manuali e aumenteranno l’uniformità della qualità dei prodotti. Robotica e automazione troveranno sempre più spazio. Mi aspetto molto anche dalla stampa 3D, che fino a ora ha promesso grandi rivoluzioni, ma che ancora non ha inciso profondamente sul mercato di massa. I sempre più accurati strumenti di progettazione digitale di prototipi/modelli stanno aiutando i designer a visualizzare in modo estremamente realistico il prodotto prima che sia effettivamente realizzato, con notevoli vantaggi in termini di cooperazione, velocità e risparmio di risorse. Da considerare anche strumenti meno glamour, come i software PLM o le macchine da taglio, che, però, aiutano tantissimo le aziende a rimanere redditizie e a ridurre gli sprechi”.
L'innovazione che di recente ti ha lasciato a bocca aperta?
“Ribadisco, non mi viene da pensare a una singola idea o processo, ma piuttosto al flusso costante di cambiamenti incrementali che si traducono in scarpe di qualità superiore, con prestazioni più elevate, una migliore calzata, e un prezzo sempre più accessibile. Gli esoscheletri robotici indossabili sono un tipo di innovazione che mi ha incuriosito di recente. L’impiego di tali tecnologie di produzione ergonomiche [che permettono una riduzione del tasso di incidenti, una diminuzione delle problematiche legate all’ergonomia e una maggior precisione in alcune attività, n.d.r.] sono un ottimo esempio di automazione collaborativa.
Un’innovazione affascinante che però, devo dirlo, in questo momento non interessa a pochi nostri clienti”.