La filiera della moda italiana non esce bene dalla pandemia: il Rapporto sulle Pmi presentato da Intesa Sanpaolo con Prometeia lo indica come uno dei settori in maggiore sofferenza e con un recupero più lento rispetto ad altri. Nel 2020 la perdita di fatturato è stata del 21,4% e dovuta a molteplici fattori, come la chiusura degli impianti, di punti vendita, lo shock della domanda e l'interruzione dei flussi turistici. Le misure di compensazione del Governo non sono state risolutive e molte aziende rischiano di non sopravvivere mettendo a rischio un patrimonio di competenze unico al mondo.
La terza giornata del fashion Global Summit promosso da Class Agorà intitolata “New Glocal: quali strategie vincenti per la filiera italiana” si interroga sul futuro della filiera della moda assieme ad un panel di relatori di altissimo livello delineando tre temi critici per il suo sviluppo: il problema dimensionale, l'aggregazione e la sostenibilità.
Se la piccola dimensione delle aziende espressione dei tanti distretti produttivi italiani rappresenta una risorsa quando si parla di eccellenza, innovazione, flessibilità e reattività, il limite è invece l'incapacità di incidere in un contesto globale che richiede strutturazione per posizionarsi con efficacia sul mercato globale. Da sole queste imprese non ce la fanno e nel futuro dovranno sempre più puntare sull'aggregazione per sopravvivere. Da questo punto di vista il ruolo dei brand è cruciale: “gli 11 capogruppo del lusso italiano si appoggiano ad una filiera che solo al primo livello annovera 1.600 imprese con 80.000 addetti, – spiega Stefania Trenti, Responsabile dell’Ufficio Industry della Direzione Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo– c'è poi una miriade di fornitori specializzati, un mondo estremamente articolato che spesso rappresenta su sostenibilità e digitalizzazione degli attori chiave”. E' chiara quindi la responsabilità dei brand nel preservare quel patrimonio di eccellenze e di know how che ha fatto del made in Italy un punto di riferimento nel mondo. Ne è consapevole Fendi che porta in questi giorni a Roma presso il Palazzo delle Civiltà la mostra “Hand in Hand” gli straordinari lavori di 20 imprese di artigiani che collaborano con la maison e che “rappresentano il pilastro economico italiano, che vogliamo tutelare e di cui vogliamo preservare il savoir faire. – spiega Serge Brunschwig, Chairman e CEO, Fendi – Ma da soli non possiamo fare tutto: ci vuole l'aiuto delle autorità e delle organizzazioni nazionali. Per quanto ci riguarda abbiamo portato avanti dei programmi con Altagamma e abbiamo creato una piattaforma per attirare artigiani calzaturieri e pellettieri e per collaborare con i principali distretti e comparti industriali italiani”. Ne è consapevole anche Patrizio Bertelli, Ceo and Executive Director del Gruppo Prada che destina alla propria supply chain 100 milioni di euro: “Riteniamo che sia necessario per il futuro e per garantire la proiezione del brand e la sostenibilità della supply chain. – dichiara – La distribuzione attuale rende difficile alle pmi di competere e molte rischiano di chiudere: noi interveniamo sostenendone alcune sia con quote non necessariamente prioritarie, ma anche minoritarie”.
Un'altra sfida chiave che attende la filiera della moda nei prossimi anni è quella della sostenibilità, un cambio di paradigma che inciderà su industria, processi, prodotto. Anche qui il ruolo dei brand è importante per traghettarla in questa direzione, come dimostra l'esempio fornito da Piacenza Cashmere che, attraverso l'utilizzo della blockchain, la tiene sotto controllo e offre garanzie di trasparenza “a partire dalle materie prime (allevamento e welfare animali), cosa che è difficile anche perché spesso provengono da Paesi lontani come la Nuova Zelanda, la Cina, il Cile… – spiega Filippo Vadda, CEO e Presidente del lanificio – Poi diventa più facile con le altre aziende della filiera visto che il made in Italy è storicamente più attento – si tratta delle lavorazioni dalla pettinatura alla cardatura, tessitura e finitura… – dove il processo è ormai controllato e forse chiave del nostro successo, visto che i nostri clienti del lusso vogliono un brand bello fuori, ma anche bello dentro”.