Al Venice Sustainable Fashion Forum (VSFF) 2022, che si è tenuto il 27 e 28 ottobre presso la Fondazione Giorgio Cini (Isola di San Giorgio, Venezia), hanno partecipato attivamente istituzioni, brand, professionisti di filiera, rappresentanti del mondo dell'industria e dell’impresa e ONG.


L’obiettivo principale del Forum, di cui questa è stata la prima edizione, è accelerare un percorso di transizione sostenibile in un settore che soffre di carenza di dati e di strumenti di misurazione standardizzati. Si tratta di elementi sempre più fondamentali per la sopravvivenza delle imprese, per accedere ai fondi e agli investimenti previsti per progetti di innovazione e sostenibilità. Come emerso durante la prima giornata di summit: è possibile migliorare solo quello che si può prima di tutto identificare e misurare.


L’Europa si è posta l'ambizioso traguardo di diventare il primo continente neutrale per emissioni di carbonio entro il 2050 e ha redatto una tabella di marcia fatta di misure con tappe intermedie. Ad esempio, è prevista una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, un aumento al 40% della quota di energie rinnovabili nel mix energetico e un obiettivo di efficienza energetica del 36%.


Nell’ambito del Green Deal, che comprende investimenti per €1.000 miliardi nei prossimi 10 anni per la transizione ecologica, a marzo 2020 la Comunità Europea ha adottato un Piano d'azione per l'economia circolare. Il piano si concentra sui settori ad alta intensità di risorse, tra cui la filiera della moda, e punta sul concetto di circolarità come base per raggiungere l'obiettivo UE di neutralità climatica entro il 2050.
Ma quali sono e a chi spettano i passi da compiere necessariamente per conseguire il risultato? Durante i due giorni di VSFF si è provato a trovare delle risposte affinché tutti gli attori della catena di approvvigionamento e coloro che esercitano pressioni sul sistema abbiano dei punti comuni da cui partire per incoraggiare la transizione green.

Carlo Cici – Partner e Head of Sustainability di Ambrosetti


In particolare, durante la giornata del 27 ottobre realizzata da Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo e The European House – Ambrosetti, con il patrocinio di Assocalzaturifici, sono stati forniti per la prima volta i risultati di un assessment di sostenibilità condotta sulle aziende delle filiere della moda italiana. Il titolo del lavoro è “Just Fashion Transition”, coordinato da Carlo Cici – Partner e Head of Sustainability di Ambrosetti, e ha permesso di indagare in modo più puntuale gli impatti ambientali e sociali del sistema moda.


Lo studio mette a fuoco le sfide e le opportunità della transizione sostenibile nel settore fashion e delinea sei raccomandazioni, che vedremo in seguito, rivolte alle istituzioni e agli attori chiave della filiera per promuovere una transizione che non sia solo sostenibile ma anche giusta, equa, capace di bilanciare gli interessi e le aspettative dei diversi portatori d’interesse senza lasciare indietro nessuno (approfondimento nel box).
Secondo le rilevazioni effettuate da Ambrosetti, emergono delle forti discrepanze riguardo le diverse stime sui parametri di sostenibilità delle aziende e questo è dovuto alla carenza di dati e strumenti di misurazione standardizzati. Per esempio, le emissioni di carbonio nel settore moda registrano uno scostamento fino al 310% tra le diverse fonti prese in considerazione per lo studio; similmente, le stime sui prelievi annuali di acqua dolce da parte delle imprese evidenziano variazioni fino al 172% l’una dall’altra e fino al 429% rispetto ai dati sull’utilizzo di acqua per la produzione di jeans. A fronte però di questo scenario di incongruenza delle rilevazioni, su cui poi leader politici e aziendali sono chiamati quotidianamente a prendere decisioni fondamentali, emerge l’obbligo per circa 1.000 aziende europee dei settori fashion e lusso di rendere pubbliche annualmente le loro performance quantitative di sostenibilità a partire dall’anno fiscale 2023 o, al più tardi, dal 2024, secondo gli standard introdotti dalle nuove direttive europee.


L’Italia, in particolare, è prima in Europa per numero di imprese interessate da questa scadenza, quasi 300, seguita dalla Francia con più di 130 e dalla Germania con 110, mentre tutti gli altri paesi dell’area UE presentano una media di circa 25 aziende interessate. Numeri che certificano come la transizione sostenibile sia una questione strategica per l’industria nazionale della moda che ha il dovere e l’onere di essere al centro del dibattito globale del settore e indicare una strada per la riduzione degli impatti ambientali, sociali ed economici generati da questa industria.

Flavio Sciuccati – responsabile della divisione Fashion & Luxury di The European House – Ambrosetti


“Agli addetti ai lavori è ben noto come la transizione verso la sostenibilità sia molto complessa”, spiega il responsabile della divisione Fashion & Luxury di The European House – Ambrosetti, Flavio Sciuccati. “Alcuni fattori peculiari caratterizzano il settore: la forte segmentazione che va dal Lusso di fascia alta ai segmenti più bassi del ‘mass market’ e‘fast fashion’; la brevità del ciclo di vita dei prodotti e il continuo rinnovamento delle collezioni; le scelte di ‘globalizzazione’ e la ricerca del ‘low cost’ che hanno portato alla delocalizzazione di massa e alla frammentazione esasperata delle supply chains di tutti i prodotti in condizioni molto spesso non sostenibili”. Il tutto, aggiunge Sciuccati, “in un quadro di riferimento normativo e di regole in via di definizione che rischia di penalizzare proprio le imprese che da sempre rappresentano il vero serbatoio di innovazione e di creazione di gran parte dei prodotti del settore”.


È emerso un grande tema chiave che coinvolge tutti ed è quello della responsabilità che si declina in modalità diverse fra il produttore, il consumatore e il legislatore. Questo l’approfondimento condotto durante la seconda giornata, il 28 ottobre, dal titolo “The Values of Fashion”, realizzata da Camera Nazionale della Moda Italiana e Sistema Moda Italia (SMI). Dunque, è responsabilità delle istituzioni fornire regole chiare che definiscano criteri standard per identificare le aziende sostenibili, di conseguenza queste devono essere premiate con investimenti e sostegni mirati. “La sostenibilità ha un costo, ma non deve avere anche il costo della complessità” ha affermato Maria Teresa Pisani – Acting Head, Sustainable Trade and Outreach Unit, United Nations Economic Commission for Europe. D’altra parte, è responsabilità delle imprese e dei soggetti coinvolti su tutta la filiera trovare il modo di sbloccare e favorire circolarità e sostenibilità che sono diventati veri e propri elementi di competitività sul mercato.

Maria Teresa Pisani – Acting Head, Sustainable Trade and Outreach Unit, United Nations Economic Commission for Europe

Infine, vi è la responsabilità dei consumatori chiamati a informarsi, ma a cui,, devono arrivare tutte le informazioni necessarie per compiere acquisti consapevoli. Il cliente deve sapere quello che sta comprando per esercitare la propria libertà di scelta. Quindi, il successo dipenderà da un lavoro svolto a più mani che include le aziende, tutta la filiera e i consumatori finali. Si aprono, così, altri temi importanti, quello della comunicazione, della collaborazione e della tracciabilità. La scelta di materie prime che limitino l’impatto ambientale in tutti i passaggi di produzione, la tecnologia come acceleratore della sostenibilità, utilizzata attraverso dei passaporti digitali per informare gli attori della filiera ma anche i clienti sulle credenziali etiche e sostenibili dei prodotti, la qualità del Made in Italy non solo come espressione estetica, ma come elemento fondante della longevità dei beni e della loro circolarità.  I modelli emergenti di economia circolare rappresentano oggi solo il 3,5% del mercato globale della moda.

Fonte: Elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Ellen MacArthur Foundation: Circular business models Redefining growth for a thriving fashion industry (2021)


Durante la seconda giornata dell’evento sono state proposte otto parole chiave che corrispondono ad altrettante tematiche di valore finalizzate a delineare il quadro dicambiamento su cui la moda italiana si sta focalizzando per individuare nuovi percorsi virtuosi che mirano al conseguimento della sostenibilità del settore. Harmonise, ovvero armonizzare nuovi modi comuni di interpretare la sostenibilità: Educate, educare tutti gli attori della filiera per guidare il cambiamento; Think, cambiare state of mind e agire a tutto tondo in modo sostenibile; Measure, abilitare il miglioramento continuo delle prestazioni attraverso sistemi di misurazione standardizzati; ReMake, puntare all’economia circolare; Create, creare pensando già a quella che sarà la vita futura dei prodotti; Make, agire considerando il ruolo essenziale della collaborazione all’interno della filiera; Make (It happen), per la gestione del cambiamento mediante la tecnologia e l’innovazione sostenibile.


Seguendo queste indicazioni le aziende testimonieranno la trasformazione delle attività e della catena del valore attraverso l’implementazione di buone pratiche e la filiera diventerà protagonista su quanto fatto finora e su ciò che si sta facendo per l’evoluzione di un settore così centrale per l’industria a livello globale. 


JUST FASHION TRANSITION

STUDIO DI THE EUROPEAN HOUSE – AMBROSETTI SULLA FILIERA DELLA MODA


Lo studio ha valutato le performance economico-finanziarie di 2.700 aziende della catena di fornitura, ha valutato la sostenibilità di 167 aziende della filiera italiana e ha analizzato gli strumenti di gestione della sostenibilità delle 100 più grandi imprese europee.


Non ci sono dubbi sul fatto che la moda determini degli impatti significativi sull’ambiente, ma non lo si può dire basandosi sui dati oggi disponibili a livello globale. La stima delle emissioni che alterano il clima terrestre generate dal settore oscilla dal 2 all’8,1% delle emissioni globali, un valore fino a 4 volte superiore. Sul fronte sociale la stima di lavoratori che operano nel settore a livello globale oscilla tra i 60 e i 75 milioni, la maggior parte dei quali vive in Paesi in via di sviluppo dove sono più presenti disuguaglianze, fenomeni di lavoro minorile, sfruttamento e condizioni di lavoro insalubri o pericolose. L’obiettivo è standardizzare la misurazione della sostenibilità di imprese e prodotti e di aumentare il livello di trasparenza dei brand. Le nuove normative europee di sostenibilità impatteranno principalmente i brand e, a seguire, l’intera filiera. Senza una filiera sostenibile non potranno esserci brand sostenibili.


Dall’indagine di The European House – Ambrosetti su 167 aziende della filiera italiana della moda, inoltre, si evince che solo all’aumentare delle dimensioni dell’azienda cresce l’adozione di strumenti per la gestione della sostenibilità, il monitoraggio, la presenza di figure dedicate e l’ottenimento delle certificazioni.


A questo proposito, nello studio vengono proposte sei raccomandazioni utili ad accompagnare il settore verso il traguardo della sostenibilità: l’adozione anticipata di strumenti in grado di fornire feedback, definire una roadmap in grado di supportare l’industria nel percorso alla sostenibilità, concordare alleanze tra gli attori della filiera, creare un database e un osservatorio permanente dei dati, promuovere e condividere all’esterno una cultura sostenibile attraverso azioni di divulgazione, promuovere le imprese del lusso di Italia e Francia, non solo come simbolo di qualità ma come avanguardia della sostenibilità. Emerge la necessità di reinvestire quote fisse dei margini dei brand per favorire la scalabilità di modelli di business circolari e la condivisione delle migliori pratiche di settore.

Da qui è possibile accedere al link dove scaricare lo studio completo Just Fashion Transition.