Il lock-down ha colpito duramente le imprese del settore calzaturiero che – rivela un'indagine condotta da Confindustria Moda – hanno accusato, nel primo trimestre 2020, una flessione media del fatturato pari a -38,4%, con una perdita complessiva stimata in 1,7 miliardi di euro. “Il nostro comparto, non avendo potuto riconvertire alcuna linea di produzione, a differenza del tessile, ha registrato perdite più significative per fatturato e ordini rispetto alle altre aziende del settore moda – ha affermato Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici. Abbiamo bisogno di misure forti e strutturali da parte del governo in materia di credito, fiscalità e sostegno all’export. Sono queste le risorse strategiche che ci chiedono le imprese di uno dei settori cruciali per il made in Italy”.
Nel momento della riapertura abbiamo voluto fotografare lo stato di salute dei principali distretti calzaturieri italiani, per un aggiornamento sulla situazione. Ne è emerso un quadro ancora caratterizzato da forti criticità.
La nostra indagine prende il via dal Veneto, dove sono attivi tre distretti con caratteristiche molto diverse tra loro: il veronese, Montebelluna e la Riviera del Brenta.
“Relativamente alla ripartenza di marzo riscontriamo cali del 25-30% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. I calzaturifici si stanno confrontando con due problemi: la conclusione negativa della stagione estiva, con merci non consegnate, oppure richieste di forti sconti e partite in magazzino…. L'altro problema è non aver concluso la campagna vendite per l'invernale, con un preventivo di contrazione importante”, spiega Giorgio De Gara, presidente della sezione moda Confindustria Verona che aggiunge come il sentiment delle aziende sia improntato al pessimismo, visto lo stato del commercio in Italia e il permanere della chiusura di molti mercati di sbocco per effetto della pandemia. Aggiunge: “Un’opportunità che ci lascia il virus, vista la precarietà attuale che rende difficile una programmazione di lungo periodo al dettaglio, è sfruttare la confusione che spingerà i retailer a fare riassortimenti just in time e quindi ad affidarsi a chi sa reagire in fretta alle sue richieste, incrementando così un'economia di prossimità, che magari ci permetterà di recuperare qualche punto percentuale”. De Gara è, inoltre, critico sui provvedimenti del Governo per aiutare le imprese: “Ci sono stati tanti proclami, ma ben poco di attuato. Ne è esempio la CIG: solo un'azienda su dieci è stata in grado di anticiparla, agli altri dipendenti non arrivano ancora i soldi. Oppure l’accesso al credito bancario reso difficoltoso dall’eccessiva burocrazia. Sebbene sarebbe opportuna della liquidità a fondo perduto, sarebbe anche troppo facile che sfuggisse ai controlli: agevolerebbe le imprese che vivono di espedienti fiscali, più di quelle che pensano al business. La politica migliore sarebbe, quindi, quella della defiscalizzazione che darebbe subito respiro alle aziende più virtuose, che hanno sempre pagato le tasse”.
Il distretto di Montebelluna, vocato alla calzatura sportiva, sta reagendo meglio, ma si deve confrontare con le problematiche della limitata mobilità. “Le aziende del distretto – dichiara Alberto Zanatta, presidente de gruppo moda, sport e calzature di Assindustria Veneto Centro Treviso – Padova – hanno la necessità di far viaggiare il personale tecnico per raggiungere i siti di produzione delocalizzati, che durante la pandemia hanno lavorato a singhiozzo, per presidiare il controllo della qualità”. Tra i temi emersi nel confronto con i colleghi del distretto, quello della liquidità: “Con i negozi chiusi, e non avendo incassato nulla in questi mesi, non si riescono a onorare i debiti con i fornitori. Bisogna riuscire a mantenere la relazione con loro per evitare di distruggere il territorio e l'economia che supporta in maniera importante il settore”. Ma la pandemia ha anche offerto delle opportunità: “Abbiamo riscontrato una accelerazione incredibile della digitalizzazione. Questo non aiuta molto il brick & mortar, ma per chi produce è un’ottima risorsa. Inoltre, alla fine del lock-down la gente vuole uscire, fare attività, perciò prevediamo che molti, per garantire il distanziamento sociale, sceglieranno di fare le vacanze in montagna, piuttosto che al mare, e per chi produce calzatura sportiva e tecnica è una buona notizia”. Critico invece sulle azioni intraprese dal Governo in questo momento di crisi: “Cosa ha fatto il Governo? Alcune iniziative sono interessanti, ma accontentare tutti con interventi a pioggia non è la mossa giusta. Ci vorrebbero meno iniziative, ma più profonde. E poi la burocrazia all'italiana è scoraggiante. Guardi gli Usa: hanno emesso solo tre direttive, hanno accreditato i soldi alle aziende, e poi sono andate a controllare se i soldi venivano spesi bene. Si dovrebbe fare così. Invece, con la solita azione all'italiana, non si va da nessuna parte”.
Il tessuto della Riviera del Brenta, fortemente caratterizzato dalla presenza di terzisti del lusso, risulta meno in sofferenza rispetto a chi, in zona, produce con brand proprio. “La situazione è pesante – ci confida Franco Ballin, consigliere di Acrib. Molte delle nostre aziende hanno subito forti ridimensionamenti di ordini e cancellazioni. I terzisti sono meno in sofferenza, ma anche loro hanno risentito dei cali. Il problema, però, non è tanto la fase due, ma cosa succederà dopo: di quali risorse finanziarie potremo disporre? E con quale serenità potremo affrontare l'approvvigionamento delle merci per la prossima stagione? Acrib sta preparando soluzioni economico-finanziarie per recuperare risorse nei prossimi mesi e affrontare al meglio la fase tre”.
Problematiche simili sono condivise dall'Alto Milanese (siamo passati in Lombardia), zona in cui si effettuano produzioni per griffe come Louboutin, Hermès e Chanel: “Anche le firme hanno subito la contrazione degli ordini, seppur in misura minore – spiega Giovanna Ceolin, presidente del gruppo moda Confindustria Alto Milanese – ma hanno le spalle larghe per fronteggiarle dal punto di vista finanziario. Più difficile, invece, la situazione dei terzisti: qualcheduno si perderà per strada, anche perché non credo che assisteremo a una corsa sfrenata al lusso nei prossimi mesi… Chi lavora con marchio proprio ha riscontrato diminuzioni e annullamenti di ordini. Si sta finendo l'estivo, ma nessuno sta iniziando l'invernale. Speriamo che si muova qualcosa più avanti nel tempo: noi intanto stiamo contrattando con i sindacati per aprirci la possibilità di lavorare ad agosto”.
“In ogni caso – aggiunge Giovanna Ceolin – il nostro distretto sta lavorando, e riesce a mantenere vivo tutto l'indotto. Se lo dovessimo perdere, infatti, perderemmo credibilità su un valore importante come quello del made in Italy, che per tradizione è manifatturiero. Dobbiamo assolutamente fare in modo che questa cultura non evapori”.
Anche nel fiorentino (passiamo alla Toscana), Giacomo Fioravanti, presidente della sezione calzaturieri di Firenze e titolare di F.lli Borgioli, racconta una storia simile: “Per le firme, a parte qualche ritocco, gli ordinativi sono stati confermati e la produzione procede regolarmente, per ora. Quello che cambia è la stagionalità: molte firme, anche fra quelle con cui lavoro io, non presenteranno le loro collezioni a giugno, bensì a settembre. Molte le presenteranno in forma ridotta, accontentandosi delle rimanenze. Per chi ha il proprio marchio, invece, la situazione è tragica: già prima della Covid in Italia ed Europa non si presentava una buona situazione. Le fiere di gennaio e febbraio, poi, non sono state brillanti: chi aspettava la conferma degli ordini li ha visti annullati, mentre chi già li aveva li ha dovuti sospendere. Tradizionalmente, il mercato italiano si muove attorno ai rappresentanti e nel periodo di Pasqua, ma quest’anno è rimasto tutto bloccato. Così, chi ha consegnato la collezione estiva, prega gli venga pagata; agli altri è rimasta in magazzino. Inoltre, nessuno ha intenzione di pensare e guardare le collezioni invernali: si aspetterà ottobre/novembre per ordinare il just on time”. Quali misure dovrebbe prendere il Governo per dare un aiuto alle imprese, secondo Fioravanti? “Il Governo dovrebbe dare sovvenzioni a fondo perduto e pensare di istituire uno stato di emergenza, come nel dopoguerra. Ci mancano i fondi e la proposta di Confindustria era di spalmare il rientro dei prestiti su trent'anni e non su dieci, come avvenuto con i prestiti garantiti dallo Stato, i quali non sono neppure così facili da ottenere”.
Agostino Apolito, vicepresidente di Confindustria Firenze, aggiunge che il punto critico, soprattutto per le piccole e medie imprese del distretto, è riorganizzare le collezioni in un momento in cui la stagionalità sembra essere saltata. Nonostante la pandemia abbia anche dischiuso nuove sfide e opportunità: “L’assenza di fiere fisiche e il loro svolgimento esclusivo in forma digitale sarà una bella prova del nove per verificare se questi strumenti innovativi funzionano davvero”, dichiara. “Questi tempi, poi, hanno anche favorito la creatività, il ripensamento del concetto di moda e una maggiore attenzione alla sostenibilità: temi molto importanti per i consumatori. Mentre designer e grandi brand stanno già affrontando questo cambiamento, le aziende dovranno farlo al più presto”.
Già area di crisi complessa per calzatura e pelletteria, i distretti fermano e maceratese (siamo nelle Marche) stanno affrontando un grave momento. “Molte aziende hanno le merci in casa, ordini annullati, alcune non riescono ad incassare e si prospetta il problema della prossima stagione, che si prospetta come un grande punto interrogativo”, dichiara Matteo Piervincenzi, presidente sezione calzature Confindustria Macerata. “Servirebbero – prosegue – contributi a fondo perduto per la ripartenza, per affrontare il cambiamento e la prossima stagione di vendita, per cui permangono diverse incognite: ci saranno i clienti? E le fiere? In maniera rapida bisogna reinventare il contatto con il cliente con piattaforme digitali B2B. Digitalizzarsi è un passo che avremmo dovuto fare già da tempo, la crisi della Covid-19 ha velocizzato il processo”. La sede confindustriale è di grande supporto in questo momento: “Siamo accanto alle imprese – spiega Carlo Cipriani, responsabile dell'internazionalizzazione – con web communication e l'attivazione di piattaforme B2B, con la formazione per l'attivazione dei protocolli sanitari, e con interventi mirati per la filiera, così da garantire la tenuta di un distretto fortemente caratterizzato da calzatura, accessori e pelletteria”.
A Matteo Piervincennzi fa eco il collega Valentino Fenni, presidente sezione calzature Confindustria Fermo: “La crisi del Coronavirus si è innestata in un territorio già in difficoltà per il terremoto e per l'area di crisi complessa. I clienti che hanno piazzato gli ordini non hanno ritirato la merce, o se la prendono richiedono sconti improponibili tra il 20-30%. Del resto, è comprensibile che in un momento del genere il negozio non voglia correre dei rischi: ad esempio, chi comprerebbe una scarpa da cerimonia sapendo che i matrimoni si celebreranno solo in forma ristretta? La stagione delle vendite è bloccata a metà, è crollato il mondo. L'invernale rappresenta un’incognita e vendere su internet non è così facile. E la situazione di estende a tutta l’Europa: non so che prospettive immaginare per il futuro. Anche le fiere: in quali condizioni potremo farle, come lavoreremo? È molto probabile che assisteremo a una selezione delle aziende e a molta disoccupazione”. E chiude con una esortazione: “La filiera è tutta collegata: quello che succede a noi, succede a tutto l'indotto. È il momento che si faccia qualcosa per noi che lavoriamo, produciamo e diamo lavoro in Italia: possibile che non si riesca a veicolare questo messaggio? Le istituzioni dovrebbero dire chiaramente compra il fatto in Italia, o in Europa”.
Anche Lucio Nucci, presidente della sezione calzature di Confindustria Bari lamenta il fatto che per le imprese del barese si è compromessa irrimediabilmente la stagione Pe 20 e si è seriamente danneggiata l'Ai 20/21. “Sembrerà ovvio e scontato, – dichiara – ma le aziende del nostro settore hanno bisogno di liquidità immediata per garantire la continuità aziendale e di sospensione delle tasse, oltre agli ammortizzatori sociali messi in campo per il Covid-19. Confindustria ha da subito iniziato con il Governo un'opera di sensibilizzazione in questo senso, richiedendo al tempo stesso reattività e concretezza”.
La digitalizzazione offre una opportunità nel momento critico anche per le imprese di questo territorio: “molti operatori, quelli più lungimiranti e strutturati, erano già incanalati nel mondo digitale con pubblicità tramite social e vendita on line, altri hanno iniziato spontaneamente proprio in reazione al momento critico”.
Anche il distretto napoletano (Campania), dalla grande tradizione calzaturiera, si divide su due fronti: “Chi lavora per le grosse firme ha ripreso a lavorare a regime. Magari impiegando il 50-70% del personale, per rispettare il distanziamento sociale imposto dai decreti. Chi, invece, lavora con il proprio brand sta malissimo – ci spiega Pasquale Della Pia, consigliere della sezione Moda Unione Industriali di Napoli. Io, per esempio, mi trovo in una posizione intermedia avendo il 50% del lavoro dedicato al mio brand, e l’altro 50% in conto per firme della moda. Le incertezze sono a livello globale: bisogna capire le ripercussioni del lock-down, assumendo l'incognita di una pandemia che potrebbe ripartire e imporre un altro periodo di chiusura. I nostri clienti sono chiusi da tre mesi e l'invernale non lo vogliono… viviamo alla giornata. Sussistessero solo problematiche finanziarie, ma ci fosse il lavoro, si risolverebbe tutto chiedendo un prestito in banca. Ma non è così, il lavoro è fermo. Entro un anno mi aspetto chiudano tra il 20 e il 40% delle imprese del distretto. Senza contare l’indotto che rischia di saltare per aria”.
ATEA: il punto di vista dei pellettieri abruzzesi
In Abruzzo, dove lavorano 55 aziende di pelletteria e abbigliamento del consorzio Atea, si condividono gli stessi problemi dell'industria calzaturiera: la fatica a concludere la stagione, le incognite per la prossima, i problemi di liquidità e le insolvenze. “Quello che bisogna capire è come la pandemia influirà sulle priorità dei consumatori. Si dovranno ridefinire geografie, consumi, gusti – guarda più in là il presidente Francesco Palandrani – Non si riesce ad avere una prospettiva chiara. Noi abbiamo in cantiere un progetto per l'avvio di una piattaforma online su cui presentare i prodotti delle nostre aziende: un progetto a cui già avevamo pensato, ma posto in secondo piano rispetto ai progetti di internazionalizzazione e formazione, e che ora ha la priorità assoluta. Stiamo, poi, conducendo un'indagine presso le nostre aziende per raccogliere dati e bisogni da sottoporre alle istituzioni”.
Assoprov: il punto di vista dei rappresentanti
Nei giorni post lock-down tanti dei clienti di Assoprov, catene grandi e medie, hanno lavorato, seppur in maniera ridotta. Ma lo slancio iniziale sembra essersi interrotto: “Se le cose continuano così, se non si ripristina un minimo di fiducia, non si sa come può finire – dichiara Giuseppe Marrinozzi, segretario di Assoprov – Io temo che sull'Autunno Inverno ci sarà una grossa mancanza di prodotto: i clienti sono spaventati, anche dalla possibile seconda ondata di Covid-19 in autunno, e quindi non fanno ordini. Se li faranno più tardi, non ci saranno i tempi tecnici per la produzione”. La grosse catene in media hanno un 10% di prodotti italiani, il resto viene da Paesi come Turchia, India e Cina, che sono anche i mercati in cui produce Marrinozzi: “La pandemia ha messo in crisi i mercati: in Cina molti produttori sono rimasti chiusi e non riapriranno se non a settembre-ottobre; in India la zona di Mumbai è attualmente in fase di lock-down; in Turchia, dove si è continuato a lavorare, lo si fa in forma ridotta, anche perché il loro mercato di riferimento, la Russia, è crollato. Nonostante noi si sia abituati allo smart working con queste realtà, il momento cruciale della preparazione delle collezioni richiede una presenza sul posto, attualmente non possibile”.