Bloomberg lo definisce “Il più grande accordo commerciale del mondo”: il Rcep (Regional Comprehensive Economic Partnership) che unisce le dieci nazioni dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia, rappresenta un terzo della popolazione (2,2 miliardi di persone) e del Pil mondiale (26mila e 200 miliardi di dollari). La firma, arrivata lo scorso 15 novembre mentre le economie regionali lottavano per risollevarsi dalla pandemia, è anche una grande vittoria per la Cina e si pone come alternativa al TTP (Trans Pacific partnership) firmato nel 2016 dal quale il colosso cinese era stato escluso. Il tempismo è significativo, perché rappresenta anche un colpaccio alla politica “America first” subito dopo la sconfitta di Trump alle elezioni, e dimostra la volontà delle nazioni asiatiche di andare avanti nella ricerca di integrazione economica tra regioni. Non a caso il premier cinese Li Kequiang l’ha definita: “non solo un traguardo epocale nella cooperazione nell'Asia orientale, ma anche una vittoria del multilateralismo e del libero scambio".

L’accordo commerciale, che secondo le stime degli economisti avrà la potenzialità di aggiungere 186 miliardi di dollari all’economia globale, riguarda 20 capitoli diversi che coprono dal commercio di beni, investimenti e commercio elettronico, alla proprietà intellettuale e agli appalti pubblici. Prevede in particolare l’eliminazione del 90% delle tariffe di importazione nei prossimi venti anni – una misura che secondo gli addetti avrebbe potuto essere più incisiva (raggiungendo il 100%), ma che tuttavia darà una grande propulsione al commercio.

Grande esclusa è l’India che per ora non ha ratificato l’accordo, le ragioni sono sia economiche – il timore dell’impatto sul deficit commerciale con la Cina – ma anche politiche, visto l’appoggio di Modi alla politica di Trump. Ma non è escluso che ritorni sui suoi passi e che possa aderire nel futuro.

Altrettanto significativa è l’adesione della Nuova Zelanda e dell’Australia che, nonostante la fedeltà politica e militare agli Usa, non hanno voluto rinunciare alle enormi opportunità commerciali che l’accordo genererà. Come si dice: “pecunia non olet”.

Sebbene l’iniziativa del trattato sia stata presa dai Paesi ASEAN, ad uscirne rafforzata sarà la leadership della Cina, oggi giustamente percepita come “campione della globalizzazione”, che capitalizzerà numerosi vantaggi: una maggiore influenza nel governare le leggi commerciali della regione; vincolare a sé i paesi più poveri dell’Asia come Laos e Cambogia; legare Malesia e Filippine nell’area contesa del mar cinese meridionale; rafforzare la proiezione di potenza cinese in relazione alla Nuova Via della Seta contribuendo a ridimensionare il ruolo americano in Asia.