La sostenibilità è senza dubbio uno dei temi più attuali e dibattuti anche nell’ambito della moda e tuttavia è un argomento così ampio e sfaccettato, che è spesso difficile da approcciare senza arrestarsi ad un livello di superficie. Abbiamo in questo senso trovato più utile partire dai dati, analizzando un’interessante ricerca commissionata da UniCredit a Nomisma e presentata lo scorso dicembre da Silvia Zucconi, Responsabile Business Intelligence di Nomisma, nell’ambito del terzo incontro del ciclo sul fashion intitolato “The age of new Visions” di Pitti Immagine & UniCredit.
La ricerca mette in luce un primo e fondamentale dato, che emerge dal quadro dello scenario mondiale Post Covid, e cioè che l’avvento della pandemia ha aumentato la sensibilità della popolazione verso le tematiche ambientali in generale, tanto che il 70% della popolazione appare più consapevole rispetto al passato degli impatti dell’attività umana sull’ambiente e addirittura il 76% si dichiara preoccupata allo stesso modo per l’ambiente e la salute. A preoccupare è, in particolare, la qualità dell’aria (72%), seguita dalla gestione e dalla scarsità dell’acqua (23%). In questo quadro generale si inserisce anche il nostro Paese, dove 1 italiano su 4 considera una priorità la promozione di azioni per combattere il cambiamento climatico. Interessante anche notare che il 65% degli italiani ritiene che siano le imprese a dover adottare modelli di produzione sostenibili e attenti all’ambiente.
Nell’era Post Covid i cittadini italiani appaiono sempre più attivi, se non addirittura ‘attivisti’ per la salvaguardia dell’ambiente. Dall’inizio della pandemia, rispetto al pre Covid, la percentuale di shopper italiani che ha aumentato l’acquisto di prodotti sostenibili ed eco-friendly è pari al 27%, la percentuale più alta registrata rispetto a paesi come Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Usa; è aumentata inoltre del 21% il numero di shopper che hanno acquistato da punti vendita che promuovono prodotti sostenibili, del 23% l’acquisto di prodotti con packaging igienico e sicuro e del 20% gli acquisti da aziende che operano nel rispetto dei lavoratori.
La sostenibilità diventa quindi sempre più un driver di scelta fondamentale, tanto da influenzare in modo deciso le preferenze di acquisto del prossimo anno. Il 67% dei cittadini europei considera l’acquisto di materiali sostenibili un’importante discriminante, il 40% guarda con favore ai brand che si impegnano a livello sociale e sanitario per superare la crisi generata dal Covid-19 e il 20% dei cittadini europei è intenzionato a sostenere le imprese moda del territorio aumentando gli acquisti di capi di abbigliamento, calzature e accessori locali.
Per quanto riguarda l’Italia: per il 46% degli italiani sarà importante, o molto importante, acquistare nei prossimi 12 mesi abiti, calzature e accessori prodotti con metodi che rispettano l’ambiente e tutelano il benessere animale. Si preferisce inoltre puntare sull’acquisto di meno prodotti ma di maggiore qualità e destinati a durare più di una stagione, e per questo si è disposti a pagarli anche un prezzo più alto (37% degli italiani).
L’Italia e il resto d’Europa si avviano quindi verso una società green e l’industria della moda è chiamata a fare la sua parte in questo percorso. L’87% degli intervistati dichiara che vorrebbe le aziende del settore moda e lusso operassero in maniera sostenibile per l’ambiente – sia nella proposta di prodotti/servizi, che nei processi produttivi adottati. Il 78% italiani vorrebbe conoscere la provenienza delle materie prime utilizzate nella produzione di abiti, calzature e accessori che acquista e il 72% vorrebbe essere informato sull’impatto ambientale collegato al processo produttivo (emissioni di CO2, impronta idrica, ecc).
Va detto che l’Italia si era già mossa anche prima dell’avvento della pandemia verso una produzione sostenibile e un’economia green, tanto che nel periodo che va dal 1990 al 2018 le emissioni di gas serra prodotte dal settore manifatturiero in Italia sono calate del 40 per cento. Il 77% delle imprese del settore moda (tessile, abbigliamento e articoli in pelle) con 3 e più addetti aveva inoltre già attuato nel 2018 un’azione di sostenibilità ambientale e/o di responsabilità sociale e/o di sicurezza.
Tra le azioni comuni a sostegno della sostenibilità ricordiamo poi il Fashion Pact, sottoscritto nel 2019 in occasione del G7 e che rappresenta una coalizione di aziende globali leader del settore della moda e del tessile (ready-to-wear, sport, lifestyle e lusso), oltre ai fornitori e distributori, impegnati al raggiungimento di una serie di obiettivi condivisi e focalizzati su tre aree principali: l’arresto del riscaldamento globale, il ripristino della biodiversità e la protezione degli oceani. Oggi il Fashion Pact vede coinvolte 60 aziende firmatarie provenienti da 14 paesi nel mondo, per un totale di 200 marchi, vale a dire 1/3 dell’industria totale della moda.
Vi è poi la Sustainable Apparel Coalition (SAC), la più grande alleanza per la produzione sostenibile cui appartengono marchi della moda, delle calzature e del tessile, che oggi coinvolge 250 membri da 35 Paesi, per un fatturato di oltre 750 miliardi. Tra le iniziative più importanti messe in atto dalla coalizione ricordiamo in particolare l’ideazione e lo sviluppo dell’HIGG INDEX, che fornisce una panoramica globale sulla performance delle diverse aziende in termini di sostenibilità.
Tra le realtà del fashion, su cui da tempo si sono accesi i riflettori nella lotta per un consumo più sostenibile, ci sono senza dubbio le catene del Fast Fashion, che si sono impegnate entro il 2025 a utilizzare risorse energetiche rinnovabili per l’80% in negozi, centri logistici e uffici e il 100% dei capi in cotone, lino e poliestere sostenibili. Entro il 2040, le catene del Fast Fashion si sono inoltre date come obiettivo la riduzione del 40% delle emissioni di CO2 e gas serra.
Detto questo, il cosiddetto ‘effetto Covid’ ha portato ad accelerare queste tendenze già in atto e a spostare il focus sulla sostenibilità come priorità per le strategie future e la ripartenza economica. Secondo una ricerca condotta da Nomisma lo scorso ottobre sulle imprese italiane del fashion, per effetto dell’emergenza sanitaria il 29% delle imprese ha registrato la nascita o l’accelerazione dell’adozione di strategie per la sostenibilità dei prodotti e/o dei processi produttivi, il 20% a rivedere la supply chain con l’individuazione di forniture locali/nazionali e il 18% ad adottare strategie di etica e sostenibilità sociale come il lavoro equo.
Le prospettive future vedono quindi la sostenibilità come una leva fondamentale per la ripartenza delle imprese della moda, da perseguire come una strategia organica attraverso l’adozione di processi produttivi, materie prime e di modelli di consumo sostenibili. Le parole-chiave della ripartenza saranno quindi sempre di più: circular economy, near-shoring, Made in Italy, comunicazione efficace, packaging green, produzioni certificate, modelli flessibili, materiali eco-friendly.
In questo percorso, le aziende possono contare sulle misure adottate dal Governo e sul Recovery Fund, come il 20% delle risorse da dedicare alla transizione ambientale, il credito di imposta per gli investimenti verdi, il Bonus mobilità (bici e incentivi auto) e il Fondo Green New Deal da 4,24 mld per i prossimi 3 anni.