La sua sensibilità per la materia è già riscontrabile nell’uso di pelli pregiate che offrono effetti inaspettati tramite l’impiego del patchwork e del colore; ma il vero rinnovamento del linguaggio della moda avviene con l’introduzione di materiali decisamente inconsueti come la pelle di pesce, il gros-grain, i cilindri di sughero cuciti e ricoperti di capretto, le canape, le rafie e il cellofan, ottenuto attorcigliando carte di caramelle.
A spiegare tanta versatilità non basta il clima di autarchia che si va delineando nell’Italia fascista, dove vengono a mancare molte materie prime tradizionali; Ferragamo dimostra che tutti i materiali sono preziosi e hanno una loro ragione d’essere nel mondo moderno. Queste scelte fuori dagli schemi sono perfettamente funzionali alle contraddittorie tendenze espresse dalla moda del tempo, che mette a confronto aspetti di grande cambiamento con impostazioni tradizionali e revivalistiche.
Le scarpe in merletto di Tavarnelle o in rafia, ad esempio, recuperano una lavorazione tradizionale della Toscana ma la reinventano nel colore, nei decori geometrici e soprattutto nella destinazione: le scarpe.
Durante la guerra Ferragamo impiega con libertà – e non come limitazione – i materiali più desueti, come legni laccati, feltri, merletti di spago e resine sintetiche quali la bakelite.
Terminata la guerra, non abbandona i materiali poveri ma attinge contemporaneamente a quelli più innovativi, come la vinilite e il filo di nylon, oppure a quelli più preziosi, come l’oro zecchino.
Ripercorrendo le parole del Maestro – con l’aiuto della ricerca di Sofia Gnoli per il catalogo della mostra Sustainable Thinking tenutasi presso il museo Ferragamo di Firenze dal 2029 al 2021 – scopriamo non solo i retroscena storici, ma anche il pensiero che ha reso possibile l’adozione del sughero da parte di Ferragamo.
“Non vi è limite alla bellezza, né grado di saturazione per l’immaginazione creativa, così come infinita è la varietà che un calzolaio può impiegare per decorare i suoi modelli […]. E infiniti sono stati i materiali da me usati in cinquant’anni di mestiere […]. Un calzolaio non deve avere un orizzonte limitato e nulla deve impedirgli di realizzare tutto quanto entri nella sua orbita creativa. Talvolta, un’idea per essere realizzata aspetta la scoperta o l’invenzione di nuovi materiali, come i tacchi di metallo e le suole di vetro; talvolta deve attendere la scoperta di nuovi sistemi di preparazione e di tintura […]. Talvolta invece un’idea nasce nella mente per effetto di circostanze particolari come è accaduto per il tacco a zeppa e per le scarpe di carta trasparente”, si legge ne “Il Calzolaio dei sogni” edito da Sansoni nel 1971. E anche per l’acciaio delle suole, verrebbe da dire. Dopo lunghi studi sulla calzatura perfetta, per sostenere bene l’arco del piede Ferragamo aveva infatti incorporato nelle suole di ogni scarpa una lamina di acciaio leggero e flessibile.
Fu così che quando – in piena epoca autarchica questo materiale venne destinato all’uso bellico, si trovò di fronte a una grande difficoltà: “Quello che ricevevo in sostituzione era così scadente che tosto ebbi una quantità di lamentele”. L’acciaio di scarsa qualità, infatti, dava instabilità al tacco e così, dopo varie prove, si chiese: “perché non riempire lo spazio che dal calcagno va all’avampiede? Eccitato, con il modello di tacco chiaro in mente mi sedetti e cominciai a lavorare con pezzi di sughero sardo, pressando, incollando, fissando e rifinendo, finché l’intero spazio tra la suola e il tacco non fu riempito”. Nacquero così le scarpe ortopediche del mondo moderno. Gli americani non tardarono a ribattezzarle wedgie o lifties. “Mi sedetti e le guardai: erano certamente insolite, per non dire rivoluzionarie, ma le trovavo anche belle”.
Ferragamo presentò il suo prototipo ad una duchessa fiorentina – il riscontro fu dapprima negativo. Salvatore non si perse d’animo e le chiese di indossare un paio di scarpe anche solo una volta. La duchessa si lasciò convincere e le indossò una domenica mattina per andare a messa. “Il giorno dopo all’apertura del negozio vennero da me, una dopo l’altra, le amiche della duchessa. In poche settimane le scarpe a zeppa divennero il mio modello più popolare. Non c’era donna che non ne elogiasse la comodità. Il sughero dava l’impressione di camminare sopra cuscini”. Il successo oltre i confini italiani arrivò ai piedi di una gran quantità di fedelissime, da Katharine Hepburn alla Maharani di Cooch Behar, che arricchiva il plateau con pietre preziose.
In breve, le zeppe divennero così copiate che Ferragamo disse: “se avessi dovuto ricevere una royalty, anche di un solo penny per paio, adesso sarei multimiliardario”.
Questo modello rappresenta di fatto la prima grande creazione italiana riconosciuta a livello internazionale.