In due mesi è cambiato il mondo. L'emergenza sanitaria del Coronavirus ha chiuso nelle proprie case milioni di persone, per poi rilasciarli affidandoli a una ‘nuova normalità’ fatta di mascherine, guanti protettivi e distanziamento sociale. Con una strisciante paura e un orizzonte di incertezze economiche ad accompagnarci. Non proprio le migliori condizioni per la ripresa dei consumi. E infatti lo sperato ‘effetto revenge’, la voglia dei consumatori di riscattarsi con lo shopping post lock-down, non si è verificato in nessuna delle economie, neppure in Cina dove si è ripartiti prima e dove le aspettative erano più alte.

È chiaro che l'impatto del Coronavirus sui consumatori è stato profondo e ha dato il via a cambiamenti importanti, destinati a durare nel tempo. Un primo effetto lo abbiamo notato durante la fase del lock-down con l'aumento esponenziale dell'e-commerce: in Italia, secondo Roberto Liscia presidente di Netcomm, si sarebbe compiuto un balzo evolutivo di dieci anni: “Stiamo assistendo a un’evoluzione inaspettata dei modelli di consumo degli italiani – afferma. A cambiare in tempi record sono state soprattutto le modalità di spedizione e di consegna. Il Click&Collect, ovvero la possibilità di ordinare online un prodotto e di ritirarlo in negozio da parte del cliente, ha registrato una crescita del +349% e ci aspettiamo che nei prossimi mesi diventerà un’abitudine sempre più consolidata”.

Il trend di accelerazione dell'e-commerce, che ha caratterizzato anche mercati più maturi dal punto di vista digitale come la Cina, potrebbe rafforzarsi nella fase di transizione successiva all'emergenza sanitaria, anche in considerazione del fatto che non pochi consumatori ammettono di provare disagio all'idea di entrare in un punto vendita e, soprattutto, in un centro commerciale.

È chiaro che la fiducia, il sentiment più importante per sostenere i consumi, è stato messo a dura prova dalla pandemia. Oggi i consumatori alle prese con la paura di un contagio di ritorno e il clima da recessione, rivedono le loro priorità e privilegiano prodotti necessari a svantaggio di quelli voluttuari. Non è una buona notizia per la moda: il report ‘The State of Fashion di BoF e McKinsey’ indica, infatti, che il 70% di consumatori europei e americani prevedono di contrarre la loro spesa per abbigliamento e accessori, e che ci sarà, in generale, una tendenza alla ricerca del prezzo scontato. Tutto questo si tradurrà in un calo tra il 27% ed il 30% del fatturato globale del settore nel 2020 rispetto al 2019. Federazione Moda Italia stima, per il proprio Paese, addirittura un calo di almeno il 50% delle entrate per il 2020.

La pandemia ha cambiato i valori dei consumatori, forse per sempre. Aspetti come qualità, durevolezza e aura senza tempo, caratteristici dei beni investimento, torneranno a essere privilegiati perché in grado di trasmettere un senso di sicurezza e concretezza. Il confortevole bozzolo protettivo della casa, che ci ha tenuti al sicuro nei giorni di reclusione, ci ha assuefatti a uno stile informale e sportivo, adottato anche durante le sessioni di smart working e le conference call coi colleghi e a cui verosimilmente non vorremo rinunciare neppure per il ritorno in ufficio.

Sostenibilità è l'altra parola chiave della ripresa: secondo ‘The State of Fashion’ il 15% dei consumatori statunitensi ed europei acquisterà prodotti più sostenibili sia a livello ecologico che sociale. Ma non solo, cambierà anche il valore della sostenibilità: “La pandemia intensificherà il dibattito che ruota attorno al materialismo, al consumo eccessivo e alle pratiche commerciali irresponsabili – afferma Giovanni Maria Conti, docente di storia e scenari della Moda al Politecnico di Milano. Non so se il fast fashion abbia imboccato il viale del tramonto, ma sicuramente la moda dopo questo evento sarà molto diversa perché saremo diversi noi, le nostre necessità e, forse, i nostri bisogni”.

La pandemia inciderà fortemente anche sui consumi del lusso: sempre ‘The State of Fashion’ prevede per il settore una contrazione dei ricavi tra il 35% e d il 39% nel 2020, rispetto all'anno precedente. Il consumatore di questa fascia farà attenzione a prodotto e pricing, e sarà meno propenso all'ostentazione, domandando capi più sobri, meno sfacciati, in linea con il mood recessione. Una richiesta che, secondo Bank of America, sta già premiando brand più ancorati alla propria identità, come Chanel, Hermès, Dior. Meno ricompensanti, invece, saranno i brand con un impatto estetico più forte come Gucci che, non a caso, dopo 18 mesi in cima alle ricerche online, è già sceso alla 23ma posizione.

Calzatura: consumi globali giù del 22,5%

Il conto che la pandemia presenterà al settore della calzatura nel 2020 sarà salato: World Footwear prevede un taglio del 22,5% dei consumi globali. Percentuale che, tradotta in volumi, significa 4 miliardi di scarpe in meno: -696 milioni di paia in Nord America, -908 milioni in Europa e -2,4 miliardi in Asia. Oltre ai volumi, è atteso anche un calo dei prezzi medi.

Ma quali tipologie di calzature compreranno i consumatori nel 2020? Nelle previsioni del panel internazionale di esperti intervistato da World Footwear la calzatura classica in pelle, soprattutto maschile, continuerà a calare. Mentre la sneaker e le altre calzature sportive cresceranno ancora.