Marcello Marcaccio, titolare di Comart

"Mio padre, prima di me, ha sempre puntato alla qualità della manifattura. Le scarpe – era solito dire – prima di tutto devono essere comode, poi dovrebbero essere anche belle. Questo principio guida e ha guidato i miei figli e me ancora oggi". Così Marcello Marcaccio, titolare di Comart, azienda storica di Porto Sant'Elpidio, presenta i valori al centro del calzaturificio marchigiano.
Dal 1955 Comart produce calzature da donna adatte al quotidiano, al tempo libero ma anche per le occasioni più importanti della vita.  L’azienda fonda le sue radici nel cuore del distretto calzaturiero fermano, nelle Marche, dove conta due stabilimenti produttivi nei quali viene realizzata l'intera produzione. Un made in Italy di indiscussa qualità.

Quali le prospettive odierne di Comart?
“Siamo sul mercato dal 1955. Subentrai a mio padre 32 anni fa, insieme a mia moglie, e già da vent'anni anche la terza generazione, i miei figli Pamela e Manolo, ne fanno parte.
Stiamo lottando per tenere viva la nostra tradizione, per rilanciarla dopo le difficoltà seguite alla pandemia. Come dicevo, ci siamo sempre dedicati alla scarpa da signora comoda e confortevole, ma ci stiamo evolvendo per andare incontro alle mutate esigenze di mercato e stiamo realizzando collezioni, comunque sempre comode, ma che abbiano uno stile e un look più giovanile e di tendenza. Oggi anche una signora di 60 o 70 anni vuole indossare la stessa calzata di una donna di una trentenne. Noi dobbiamo trovare la giusta via di mezzo che assicuri una buona e comoda calzata, ma che abbia anche un gusto fresco e in tendenza. Il che complica ovviamente il lavoro: se anni fa nel reparto modelleria bastava solo una persona per gestire il lavoro, oggi ce ne vogliono almeno quattro”.

Quali le criticità che più influenzano il vostro lavoro?
“L’aver creato e venduto con un listino prezzi che oggi rischia di non risultare ben bilanciato. In questo momento tutti i fornitori cercano di aumentare i prezzi a causa delle oggettive difficoltà di approvvigionamento delle materie prime.
Un problema che si riverbera non solo sul versante economico, ma anche su quello delle tempistiche di produzione. Oggi se chiami un tuo fornitore di suole sei fortunato se riesce a soddisfare la metà delle tue esigenze e arriva a chiederti otto settimane (4 in più dello standard) per evadere l'ordine, senza garanzie sul prezzo e sull'effettiva consegna. Una situazione che genera problemi profondi per tutta la fase produttiva: rischiamo di avere tutte le tomaie pronte per evadere un ordine e non poterle passare al montaggio, scontentando i nostri clienti e rischiando che gli ordini vengano annullati quando tu hai già fatto metà del lavoro.
Non è ovviamente colpa dei fornitori. È la situazione che è paradossale. Ti viene quasi rabbia visto che dopo 3 stagioni di sofferenza, questa quarta in cui stiamo entrando ha visto impennarsi gli ordini, proprio a causa delle varie difficoltà logistiche internazionali, e noi rischiamo di non poterli soddisfare”.

Quali mercati vi fanno meglio sperare in una buona ripresa?
“I nostri mercati storici sono – oltre l'Italia che assorbe un buon 60% della produzione – gli Stati Uniti, il Nord Europa, la Cina e il Giappone.
Una fotografia a fuoco per il periodo precedente la pandemia. Purtroppo, ora è come se si fosse resettato tutto, come se si ripartisse da zero, anche per quanto riguarda l'Italia, dove diverse realtà distributive versano in grandi difficoltà. La selezione stessa dei clienti si è fatta difficile, se si tiene conto anche del fatto che le assicurazioni del credito non scherzano più, sono molto attente, e hanno iniziato a depennare alcune società dalle loro coperture, lasciando interamente a noi il rischio di lavorare con alcuni clienti”.

Ha mai dovuto affrontare situazioni altrettanto complesse?
“Nei tanti anni di lavoro che ho alle spalle ci sono stati tanti momenti non proprio belli, ma comunque sempre transitori; si sono commessi degli errori che, come giusto, abbiamo pagato; ma mai ho assistito a un periodo di crisi così lungo, in cui non abbiamo sbagliato niente, e in cui bisogna solo tirar fuori i soldi. Ci siamo trovati all'improvviso in una palude che ci ha quasi del tutto immobilizzato”.


Cambia il mercato, cambiano le esigenze dei clienti… come è cambiato il lavoro in azienda?
"Siamo costantemente impegnati a rinnovarci per innovare. Negli anni abbiamo implementato diverse tecnologie e aggiornato quelle già esistenti (a breve, per esempio, ci arriveranno due nuovi tavoli da taglio). 
Abbiamo investito in un bel marchio, come Donna Serena. Un marchio che ammiravo da tempo.
Stiamo investendo in una collezione che abbia a tema la sostenibilità e che sia realizzata per buona parte con materiali riciclati e riciclabili. Una linea che probabilmente presenteremo durante la prossima edizione di Expo Riva Schuh”.

A proposito di fiera, come valutate le loro prospettive?
“Prima del Covid per noi Riva del Garda ha sempre rappresentato un appuntamento molto, molto importante. L'ultima edizione è stata, come tutti si aspettavano, molto al di sotto dello standard, ma la si è fatta soprattutto per lanciare un segnale positivo, quasi per darsi la carica e ripartire. Certo, avremmo apprezzato una maggior flessibilità economica da parte della fiera, perché ovviamente venirsi incontro ci avrebbe fatto molto comodo, ma capiamo il momento di difficoltà che investe tutti. Sono fiducioso che l'interesse che abbiamo riscontrato nelle fiere di settembre possa ritrovarsi anche all'inizio della prossima stagione a Expo Riva Schuh. Ce lo auguriamo tutti fortemente.
Escludo, però, che per i prossimi anni, forse anche 7 o 10 anni, si possa tornare ai livelli pre-pandemia. E forse non ci si tornerà mai (senza che per forza sia un male), perché effettivamente l'intero sistema sta cambiando. Diciamolo, dove sta scritto che, per forza, alla fine di ogni anno si debba scrivere nei registri il segno più. Anche rimanere nella stabilità può essere positivo”.