Le calzature del made in Italy continuano ad attrarre i mercati esteri: nei primi sei mesi del 2019 l’export del comparto ha registrato un +7,1% in valore (per effetto di un prezzo medio cresciuto del 8,2%). E’ quanto emerge dal report sull’Industria Calzaturiera Italiana – Primo Semestre elaborato dal Centro Studi di Confindustria Moda. Un dato positivo a cui si affianca la crescita a doppia cifra del surplus commerciale attestato a 2,41 miliardi di euro, +10,7% rispetto allo stesso periodo del 2018.
Accanto alle note positive, quelle dolenti: la cronica debolezza dei consumi interni che, già provati da un decennio di lenta erosione, hanno registrato nel primo semestre dell’anno un intensificarsi della contrazione degli acquisti delle famiglie (-3,7% in quantità). Si comperano meno calzature classiche uomo e donna (-9,5% quantità e -8,3% volume) mentre si conferma come unico comparto in tenuta quello delle sneaker (+0,8% quantità, +2,9% valore).
Sul piano internazionale, invece, permane un panorama di incertezze: dal probabile protrarsi di tensioni commerciali e venti protezionistici, al rallentamento di significative economie – Cina e Germania su tutte -, alla mancata ripartenza di mercati importanti per alcuni distretti calzaturieri – è il caso della Russia -, fino alle incognite sui temi e modalità della Brexit con il pericolo “no deal” incombente.
“Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze – afferma Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici – E’ fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero made in Italy e coniugarsi al meglio con la nostra tradizione e gli standard di eccellenza che caratterizzano la nostra produzione. La formazione, affiancata a mirate strategie in internazionalizzazione e da importanti iniziative fieristiche tra cui il MICAM, è la risposta concreta con cui possiamo avviare un processo di rilancio del calzaturiero italiano e confermarne il primato nel mondo. Un settore fondamentale per la nostra economia e che può fare da volano per l’intero Sistema Paese”.
Passando all’analisi dell’export, il dato premiante del primo semestre nasconde una grande eterogeneità di performance aziendali. Da una parte abbiamo i brillanti risultati delle griffe internazionali del lusso cui diverse aziende del settore fanno da terzista che spiegano la crescita dei flussi verso la Svizzera – tradizionale hub logistico-distributivo dei fashion brands – e verso la Francia. Dall’altra abbiamo le Pmi, che stentano ad intraprendere dinamiche favorevoli.
In UE oltre alla Francia (+11,8 in valore e +13,4 in quantità), Regno Unito e Spagna mostrano trend moderatamente favorevoli. Flettono invece la Germania (-8% in volume e -2,4% in valore), Paesi Bassi e Belgio. Nel complesso l’UE – verso cui sono dirette 7 paia su dieci esportate – mostra un +3,9% in valore e un timido +0,6% in quantità.
Altalenanti i flussi extra UE. Accanto alla Svizzera, principale destinazione del made in Italy con +34,3% in valore e +5,2% in quantità, si conferma il trend negativo dell’ex area CSI con Russia a -19,5% in quantità e -17% in valore, Ucraina -1,7% in volume e Kazakistan addirittura -26,3%. Insoddisfacente anche il Medio Oriente (-15% quantità e -7,5 valore) con un -7,8 in volume negli Emirati Arabi.
Più premianti il Nord America e il Far East dove, a fronte di valori in aumento, si registrano però contrazioni nei volumi: Usa +13,5% e -3,8%, Canada+1,1% e -3,8%. In Oriente: Cina +13,8% e +0,3%, Corea del Sud +12,3% e +0,2%, Giappone +5,2% e, addirittura, -9,4%.
A fronte di queste dinamiche nazionali ed internazionali, nel primo semestre 2019 si registra una ulteriore contrazione nella produzione del 2,3% in volume (che arriva al -4,5% nelle aziende più piccole del campione intervistato da Assocalzaturifici). E continua la moria di aziende: -119 in meno, -2,6%, con la perdita di 492 addetti.