Il distretto della moda ATEA - area per la tutela delle eccellenze artigiane - nasce nel 1949 con la produzione artigianale delle prime borse in pelle. Ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per la produzione pellettiera italiana, capace di conquistare il gusto e intercettare i sogni di una platea internazionale.
Con Francesco Palandrani, presidente del Consorzio, affrontiamo i temi e le problematiche che oggi il distretto si trova a fronteggiare.

Come stanno le aziende del distretto?
“La situazione non è delle migliori, il che non ci stupisce visto tutto quello che è successo. Quello che, però, mi preoccupa maggiormente è rilevare il pessimo umore delle persone. Già 4 anni fa, ben prima del Covid, ci trovavamo a fronteggiare diverse difficoltà, ma lo spirito era sempre animato dal tentativo di reagire in qualche modo. Oggi, invece, sono molto più preoccupato perché faccio fatica a trovare un imprenditore che abbia voglia di rimboccarsi le maniche o, per lo meno, ne incontro pochi. 
A parte questa attitudine remissiva, è indiscutibile che i problemi ci sono e sono importanti: quando visito le fabbriche (e ne visito tante) sento poco rumore, non sento i martelli colpire e le macchine girare… quel silenzio mi trasmette bruttissime sensazioni”.

Su cosa bisognerebbe lavorare prima di tutto per scuotere la situazione?
“Trovo ci sia troppa lentezza nel tornare ad aderire alle manifestazioni fieristiche. Lo trovo sbagliato. Personalmente partecipo da sempre a Lineapelle e l'edizione di settembre si è dimostrata una buona occasione per fare business.
Chi non si decide a partecipare alla ripresa delle fiere è perché aspetta di avere certezze che è assurdo attendere in questo momento. Indugiare fino a quando si sia tornati ai livelli pre-crisi lo ritengo controproducente. Un discorso che non consentirà mai alle macchine delle nostre aziende di rimettersi in moto. Bisognerebbe sfruttare con maggior decisione ogni buona occasione di riprendere a fare affari.
Se si proseguirà su questa china la ripartenza sarà molto lenta.
Agli organizzatori delle manifestazioni fieristiche direi che sarà fondamentale pensare a degli eventi itineranti, che si avvicinino al territorio, così da tentare di vincere lo scetticismo diffuso di questo periodo”.

Come Consorzio quali azioni pensate di mettere in campo?
“Prima di tutto vogliamo spingere molto su iniziative che portino le nostre aziende a mettersi insieme, a condividere i rischi, a fare massa critica per tornare con forza sul mercato.
Lo stiamo facendo agevolando la partecipazione alla piattaforma di e-commerce dedicata al nostro territorio che Alibaba ha deciso di attivare. Poiché le nostre aziende sono di medio-piccola dimensione è impensabile ritenere che abbiano la forza di gestire processi così complessi come lo sbarcare nel commercio online. Perciò il Consorzio ATEA si propone come hub che raduna i prodotti delle diverse realtà imprenditoriali e permette loro di internazionalizzare ulteriormente il business.
Con lo stesso spirito vorremmo incentivare la partecipazione alle fiere. Di sicuro l’online può dare una mano, ma non è certo quello che mette in tavola il pane la sera. Bisogna tornare in fiera: chi ne ha la possibilità lo farà con una sua personale iniziativa; per tutti gli altri vorremmo organizzare collettive che consentano a più marchi possibile di farsi notare e di incrementare il proprio giro d’affari”.

Quali altre sfide vi attendono?
“È probabile che a breve si assista a un reshoring produttivo, soprattutto se si considerano le difficoltà e i costi che connotano la logistica dei container per importare i manufatti delle produzioni delocalizzate. Di sicuro, quindi, le nostre aziende si troveranno con delle commesse in più. Il punto è che, in questo momento, le aziende faticano a trovare maestranze qualificate. Per trovare una soluzione al problema, come Consorzio, già 2 anni e mezzo fa – poi purtroppo è arrivato il Covid -, abbiamo promosso la nascita di una scuola professionale (NAMI – Nuova Accademia della Moda Italiana) che, nonostante le difficoltà, è ancora viva e potrebbe aiutare moltissimo a soddisfare le esigenze formative che il territorio manifesta. In questo momento stiamo puntando a sensibilizzare giovani e famiglie sulla validità di intraprendere una carriera professionale legata al settore della pelletteria.
Sono convinto che la sfida non sia cercare di realizzare borse che costano un euro di meno, sperando di vincere la battaglia, persa in partenza, contro le produzioni del Far East. Al contrario, è fondamentale realizzare manufatti sempre più pregiati, ma per farlo è necessario non disperdere il saper fare che ci contraddistingue da sempre”.

Avete da poco organizzato un convegno a tema sostenibilità e digitale…
“Il convegno dello scorso 15 novembre, organizzato insieme a Expo Riva Schuh – Gardabags, ha rappresentato l’occasione per affrontare un’altra sfida urgente. Abbiamo radunato i membri del Consorzio per fare il punto della situazione e offrire a tutti la possibilità di comprendere meglio e più a fondo il significato e l’importanza della transizione digitale ed ecologica di cui tutti parlano. Perché non è facile per un'azienda di 15 dipendenti affrontare tematiche così complesse, o investire e lasciarsi coinvolgere ogni volta che qualcuno si inventa una nuova parola chiave. Obbiettivo del Consorzio è anche quello di formare la classe imprenditoriale perché possa trovare spunti e soluzioni applicabili ai propri contesti lavorativi, aiutarli a mettere a terra e realizzare in concreto concetti spesso non facili da assimilare”.

L’ultimo pensiero?
“È uno sprone per i colleghi imprenditori: in momenti come questi bisogna darsi da fare ancora di più. È come essere un padre di 5 figli che al mattino si sveglia e non può lasciarsi scoraggiare, ma deve rimboccarsi le maniche e darsi da fare per poter dar loro da mangiare”.