Il Bello e Ben Fatto (BBF), in pratica quello per cui il Made in Italy è riconosciuto nel mondo, è un insieme dato dalla qualità intrinseca, dai valori, dalle emozioni suscitate da un prodotto e per cui si è disposti ad accordare un premio qualità, e cioè a pagare di più rispetto ad altri prodotti della stessa categoria. Una reputazione che però è anche un’arma a doppio taglio, in quanto espone il made in Italy al rischio di contraffazione e di Italian Sounding, la pratica di imitare nel nome e nel packaging l’italianità.
Il BBF italiano esporta nel mondo per 86 miliardi di euro, il 15,6% del totale delle esportazioni italiane, ed è trasversale ai principali comparti del Made in Italy, anche se più significativamente riguarda le “tre F”: fashion, food and furniture. In totale, si tratta di 1535 prodotti di eccellenza che pongono l’Italia al 7° posto nella classifica degli esportatori di BBF. Ma, avvisa il rapporto di Confindustria, ci sono ampi margini di crescita: 45 miliardi di export in più che potrebbero essere erosi dalle quote dei concorrenti nei mercati avanzati (verso i quali sono destinati tre quarti delle esportazioni italiane) e create negli emergenti.
Mentre piccole percentuali di crescita in più nei mercati avanzati potrebbero portare una significativa crescita in termini di quantità, nei mercati emergenti si riscontra un maggiore dinamismo nelle percentuali di crescita. Da una parte, il BBF deve far leva sulla sua tipicità, che permette un posizionamento in nicchie di mercato dove ci sono meno concorrenti, per crescere. Dall’altra, può sfruttare il potenziale di mercati dove la classe media, il reddito procapite, l’urbanizzazione sono in crescita.
Un altro fattore che potrebbe essere determinante per la migliore performance dei BBF italiani è il potenziamento delle vendite nell’e-commerce, dove l’Italia è ancora indietro rispetto ai concorrenti. Non trascurabile è anche il ruolo del turismo: chi visita il nostro paese e conosce le nostre eccellenze le ricerca anche una volta tornato a casa.
Tra i mercati più avanzati del BBF italiano ci sono gli Usa, la Francia e la Germania. Ma anche il Giappone e la Corea, paesi dove si vende ad un prezzo medio unitario più alto. Quanto al potenziale di crescita in queste piazze mature, gli Usa ne offrono in regione della loro dimensione, mentre Germania, Giappone, Regno Unito e Francia in ragione della loro ricchezza. Da non trascurare per la crescita anche paesi dove l’Italia è ancora poco presente come l’Austria, il Portogallo, la Slovacchia e l’Ungheria.
Driver importanti di crescita nelle economie mature sono trattati di libero scambio, veri generatori di opportunità, come quelli siglati con il Canada e, più di recente, con il Giappone. Non meno importante, questi accordi prevedono anche la protezione di un gran numero di prodotti tipici italiani, fornendo un utile contrasto al fenomeno dell’Italian Sounding diffuso nei paesi, e inducendo i consumatori ad acquistare prodotti originali invece che contraffatti.
Cina, Hong Kong e Singapore da sole rappresentano invece il 50% delle esportazioni di BBF nei mercati emergenti. Sono seguite da Russia e Medio Oriente. In India ed Indonesia, invece, la presenza italiana è minore, nonostante il grande potenziale rappresentato da questi mercati. Secondo lo studio, il BBF italiano potrebbe crescere significativamente in queste piazze, vista la limitata presenza del made in Italy: per la sola Cina si stima di 3,3 miliardi di euro, per il Medio Oriente di 3 miliardi e la Russia di 0,6.
Quanto alla calzatura, il rapporto indica specificamente nella Germania, Belgio-Lussemburgo e dell’UK le piazze con margine sfruttabile nei mercati avanzati e negli Emirati Arabi, Russia e Cina in quelli emergenti (anche se solo nel caso dell’Uk con quota in aumento).