panoramaDa una recente indagine condotta da Assocalzaturifici è risultato che ben il 63% delle imprese associa- te lavorano con il mercato francese, una netta maggioranza che ha contribuito a posizionare la Francia al primo posto nella classifica delle destinazioni del made in Italy nel mondo. Da di- verse stagioni ormai, il vicino paese d’Oltralpe ha infatti scalzato la Germania imponendosi come principale sbocco dei prodotti italiani: una posizione che sembra voglia tenere stretta, nonostante dal 2015 il trend delle vendite sia entrato in flessione.
Dopo un 2013 in crescita a doppia cifra ed un 2014 con andamento discordante con quantità in calo (-3,6%) e valori in aumento (+2,9%), l’export italiano in Francia nel 2015 è infatti sceso a 37,435 milioni di paia di calzature per un valore di 1.316,65 milioni di euro registrando una flessione dell’8,9% nei quantitativi e del 3,2% nei valori (nonostante il corrispettivo aumento del prezzo medio a 35,17 euro il paio, +6,2% rispetto al precedente anno). Questa tendenza si sta confermando anche nei primi nove mesi del 2016, che hanno sperimentato una ulteriore contrazione (-5,9% in quantità e -1,2% in valore rispetto allo stesso periodo del 2015).

Matteo Scarparo
Matteo Scarparo

Assocalzaturifici imputa la flessione al difficile quadro macroeconomico internazionale, che sta incidendo non solo sui consumi delle famiglie francesi ma anche sulle performance delle griffe:

Più che congiunturale, il calo dell’export italiano in Francia è conseguenza della difficile situazione dei mercati internazionali – spiega Matteo Scarparo, Responsabile Global Trade di Assocalzaturifici – che si traduce, in Francia come in Italia, in un calo dei consumi delle famiglie, più sensibile soprattutto nel settore abbigliamento/accessori. Anche il retail dei grandi gruppi francesi ha subito contraccolpi, come pure l’andamento delle griffe, la cui crescita è rallentata da double a single digit: aspetti che hanno finito per incidere sull’export italiano, sul quale pesa notevolmente il contributo delle aziende terziste.

Meno incisiva, appare invece la minaccia terroristica sull’andamento delle vendite:

Ha sicuramente inciso sui flussi del turismo in Francia, soprattutto a Parigi, – commenta Matteo Scarparo – ma non ha avuto un significativo impatto sull’export calzaturiero italiano.

Ma quali sono le aspettative dell’associazione sul mercato?

Non ci aspettiamo un rovesciamento del trend attuale, tuttavia riteniamo che non ci saranno ulteriori contrazioni… – conclude Matteo Scarparo – anzi, dovremmo posizionarci su valori migliori a partire dal prossimo the MICAM.

Scorcio della Riviera del Brenta
Scorcio della Riviera del Brenta

Tra le regioni italiane, quella che lavora di più col mercato francese è il Veneto, cui spetta nei primi nove mesi del 2016 una quota del 37,4% del totale delle esportazioni in Francia. Tra i distretti veneti è la Riviera del Brenta a vantare una lunga storia di collaborazione con questo mercato: le competenze, la qualità e maestria artigianale delle produzioni brentane, le hanno qualificate da tempo come terziste delle griffe. Il territorio tra Vigonza, Fossò e Fiesso d’Artico è diventato negli ultimi anni anche meta di investimenti diretti delle maison francesi, che qui hanno aperto le loro fabbriche ed i centri di ricerca specializzati sulle calzature: come il colosso del lusso Lvmh, primo tra gli investitori, ha comprato ad inizio millennio il calzaturificio Rossimoda, dove oggi produce le calzature di Cèline, Givency ed Emilio Pucci.

Inoltre, a Fiesso d’Artico ha posto la base operativa della calzatura Louis Vuitton e a Fossò quella di Christian Dior. Nel 2017 aprirà a Vigonza il nuovo stabilimento di Yves Saint Laurent, e circolano voci sul prossimo arrivo della calzatura Chanel….

Ecco perché, la Riviera del Brenta non conosce crisi: ha chiuso il 2015 con un giro di affari di 1,88 miliardi di euro, a fronte di una produzione stabile di 19,4 milioni di paia nei suoi 126 calzaturifici.

Siro Badon
Siro Badon

Nonostante la congiuntura economica altalenante, la produzione della Riviera del Brenta resta stabilmente attiva: d’altronde, se si fa un buon prodotto, di alta qualità, c’è sempre chi è disposto a comprarlo. – commenta Siro Badon, presidente di Acrib, l’associazione dei Calzaturieri della Riviera del Brenta – Ecco perché i buyer e le griffe francesi hanno continuato a mostrare la loro preferenza al nostro prodotto: per questi motivi, le nostre aspettative per il futuro sono buone, ci auguriamo di continuare a lavorare sul mercato francese come abbiamo fatto sinora, sostenuti dalla nostra professionalità e dalla maestria artigiana caratteristica della nostra produzione.

moda-di-faustoStorico mercato per Moda di Fausto di Vigonovo, la Francia genera il 20% del giro d’affari della griffe, corrispondenti ad un valore di 2 milioni di euro e 25mila paia l’anno.

Attualmente la Francia sta attraversando una fase di sofferenza, soprattutto la piazza di Parigi, che ha sperimentato un sensibile calo nei consumi dopo l’attentato al Bataclan: – spiega Gilberto Ballin, direttore commerciale del calzaturificio – quella tragedia ha rappresentato uno spartiacque, tanto che si può dire che c’è stato un prima ed un dopo 13 novembre.

Gilberto Ballin
Gilberto Ballin

Gilberto Ballin, tuttavia, è fiducioso in una tenuta del mercato francese:

I buyer ed i punti vendita stanno facendo i conti con il sell out ed i resti di magazzino… tuttavia, sanno che chi si ferma è perduto e che bisogna sempre presentare delle novità in vetrina sollecitare i clienti ad entrare in negozio… quindi, sono certo che al prossimo the MICAM non mancheranno i compratori francesi. Certo, avranno qualche certezza in meno rispetto alle stagioni di maggiore successo, il sentiment non sarà dei migliori, tuttavia il mercato francese è ancora vivo. Il retail l’Oltralpe è ancora abbastanza sviluppato: i negozi multibrand resistono e non hanno ancora ceduto alle grandi catene il dominio del mercato, come invece è successo in Germania. Questo facilita il nostro lavoro: infatti, i negozianti che si vogliono distinguere e presentare prodotti diversi dai concorrenti, fanno ricerca e acquistano il prodotto italiano. C’è sempre molta ricerca sulla moda, non certo sul versante più chiassoso, ma quello classi- co, che guarda soprattutto alla qualità, al valore aggiunto, alla raffinatezza e all’attenzione per il dettaglio: proprio quello che la nostra firma, offre. Alla luce di queste riflessioni, ci aspettiamo che the MICAM confermi la tenuta del mercato: certo, non ci aspettiamo un grande exploit dalla Francia, ma siamo fiduciosi di mantenere le nostre quote.

Più pessimista, la prospettiva di Dyva, altra firma brentana di calzature da donna:

dyvaIl mercato francese si è dato al prodotto economico: – considera Liviana Cacco, responsabile amministrativa dell’azienda – dal 2010 in poi, il mercato francese è entrato in crisi e ha dimostrato una disponibilità inferiore ad investire in prodotti di fascia di prezzo alta. Le calzature del- la Riviera del Brenta ormai sono troppo costose: vista la loro qualità, il valore intrinseco, sono su una fascia di prezzo che è appena inferiore a quella delle griffe. Dovendo scegliere dove investire, i negozianti francesi preferiscono allora comprare le griffe, che offre loro non solo il prodotto, ma anche l’allure mediatica. Gli altri negozianti francesi, la maggior parte, si è invece rivolta a prodotti di fascia di prezzo più bassa: magari anche italiani, però certo non realizzati al 100% made in Italy con i costi che comporta, ma solo assemblati in Italia.

Questo trend ha condizionato il giro d’affari di Dyva:

La trasformazione del mercato francese ha imposto un notevole ridimensionamento del giro d’affari generato in Francia- spiega Liviana Cacco – tanto che il nostro fatturato nell’area è sceso dal 50% a meno del 10%. In pratica, lavoriamo solo con due importanti clienti francesi… Inoltre – conclude Liviana Cacco – la crisi del retail calzaturiero d’Oltralpe sta riportando i produttori della Riviera del Brenta ad essere terzisti delle grandi firme a svantaggio delle produzioni di marchio proprio. Le aziende tornano a produrre per i brand e le griffe, pur di mantenere i livelli produttivi.