ip0201Dopo quella del petrolio, l’industria della moda è la più inquinante al mondo: la sfida della sostenibilità si fa quindi vincolante anche per le imprese del lusso, stimolate sia dall’urgenza delle problematiche ambientali, sia da una maggiore consapevolezza e sensibilità dei consumatori, soprattutto quelli più giovani.

Per non rimanere nell’ambito delle “operazioni di facciata”, è però determinante sia la condivisione delle responsabilità e la trasparenza ad ogni livello della filiera, sia una maggiore consapevolezza da parte dei designer, che con le loro scelte possono fare la differenza.

È quanto emerge dal confronto tra gli studi presentati dagli studenti della School of Management del Politecnico e dalle aziende, che auspicano anche un intervento da parte del legislatore e la promozione di incentivi fiscali per incentivare comportamenti virtuosi.

La strada della sostenibilità è legata a filo doppio con quella dell’innovazione digitale che spesso la rende possibile. Il retail della moda lusso è però ancora molto refrattario al tema (il 65% dei top retailer non ha una strategia di innovazione digitale): sia perché la tecnologia rende la moda più democratica e quindi – di conseguenza – meno di lusso, sia perché si ritiene – erroneamente – che l’innovazione digitale non sia compatibile con l’heritage dei marchi. Ma, come per la rivoluzione industriale 4.0 è stata applicata con successo ai processi produttivi del fashion luxury, anche innovazioni digitali come il design 3D, la realtà integrata, le tecnologie Rfid e le mobile appl permettono di mantenere aperto il dialogo con il consumatore, di ottenere suoi feedback, e anche di offrire esperienze di shopping personalizzato e coinvolgente… a tutto vantaggio del retail.

I digital media permettono una comunicazione più diretta con il consumatore – conferma infatti Andrea Baldo, Ceo di Coccinelle durante la tavola rotonda. I brand preferiscono utilizzare questi canali per comunicare invece di passare dai tradizionali magazine

Il canale e-commerce, protagonista di una crescita a doppia cifra delle vendite in tutto il mondo (+25% l’anno in media, +30% in Italia) e con l’aspettativa di triplicare i suoi numeri entro il 2025, è sempre più determinante per le strategie dei luxury brands. Presenta tuttavia delle sfide impegnative sul versante logistico, della gestione dei resi, ma offre anche delle interessanti opportunità per ricreare la “wow experience” sul fronte della vendita e per la gestione degli inventari dei retailer. Tra i luxury e-commerce, i casi di Tod’s e Ermenegildo Zegna sono esemplari, e si integrano alla perfezione con il dettaglio tradizionale, in un dialogo costante tra on e off line.

 

RETAILER ITALIANI IN RITARDO SUL DIGITALE

In ritardo ma consci di dover intraprendere una trasformazione per intercettare il consumatore digitalizzato, per stare al passo con la crescente complessità dei processi e la concorrenza delle dot.com, i top retailer italiani devono trasformarsi per restare sul mercato. Lo afferma l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano presentando a pochi giorni dal workshop sul lusso e moda, una fotografia del top retail del Bel Paese non proprio positiva. Ben il 65% dei top retailer dichiara infatti di non avere una chiara strategia di innovazione digitale e, sebbene 3 retailer su 4 vogliano colmare il gap, gli investimenti in digitale anche se crescono non valgono più dell’1% del fatturato.

In un contesto di domanda complessivamente stagnante, il futuro dei retailer italiani è legato alla capacità di individuare target e strategie, muovendosi sul piano dell’efficienza e su quello della bontà del servizio ai clienti finali – ammonisce Alessandro Perego, Direttore Scientifico dell’Osservatorio di Digital Innovation del Politecnico milanese – Sono sostanzialmente gli stessi problemi che stanno affrontando i retailer tradizionali di tutte le economie avanzate, con la differenza rispetto non solo agli Usa ma anche a molti paesi europei è che la nostra distribuzione è estremamente frammentata e che le nostre imprese maggiori sono piccole.

ip0203Tra le innovazioni più diffuse, quelle di back-end riguardano il 91% dei top retailer e si tratta di sistemi CRM (Customer Relationship Management) e fatturazione elettronica, seguono le innovazioni di front-end in punto vendita (attivate dall’80% dei retailer) trainate dai pagamenti innovativi. Marketing e vendite sono le più interessate dallo sviluppo, alla ricerca di innovazioni atte a rendere l’esperienza di acquisto più personale o indirizzate a stupire: il 55% dei retailer vuole investire nel 2017 in sistemi di indoor positioning, digital signage, vetrine intelligenti, specchi e camerini smart, realtà aumentata e stampanti 3D…. per battere la concorrenza delle dot-com. Infine, tra le figure professionali più ricercate c’è l’e-commerce manager, ritenuto indispensabile dal 60% dei retailer. Ancora più profondo il ritardo digitale dei piccoli e medi retailer italiani, frenati dai costi elevati e delle mancate competenze internet: 6 su 10 sono presenti sul web, ma solo il 15% ha un sito e-commerce. E l’investimento resta livellato tra lo 0,2 e lo 0,3% del fatturato.