Le attese sono tutte rivolte alla ripresa del mercato interno che per il momento ancora non si è vista: al contrario la spesa delle famiglie italiane è scesa di 2,4 punti percentuali. Va male soprattutto il comparto donna, ma anche l’uomo ha risentito di una flessione, mentre sembrano tenere la pantofoleria e la tipologia “sportive e sneakers” (con +2,1% in spesa).

Sul fronte estero, allo scarso dinamismo dei mercati comunitari – frenati dal rallentamento di quello francese, principale sbocco degli operatori italiani – si è aggiunto il trend poco soddisfacente dei Paesi extra-UE.
Inversione di tendenza anche per il mercato Usa (dove all’orizzonte, per giunta, sono comparse le nubi minacciose di una possibile virata protezionistica) e la brusca frenata in Medio Oriente.
Completano il quadro il rallentamento della crescita cinese – non più a doppia cifra – la stagnazione europea.
Venendo invece alle note positive, due sole sono le macro-aree che presentano incrementi sia in quantità che in valore: gli “Altri Paesi europei non UE” (+12,7% in valore), trainati dalla Svizzera (+15,5%, tradizionale piattaforma logistica), e i mercati del Far East (+4,1% in volume e +6,5% in valore). Ciò nonostante il 2017 è iniziato senza grandi illusioni, con molte incognite di natura economica e politica sulla scena internazionale –tra cui il possibile ritorno a politiche protezionistiche – che rendono difficile ogni previsione. (Ma va detto che il rafforzamento del dollaro sull’euro, con l’avvicinamento alla parità, favorirebbe le vendite negli USA e non solo).
Nel 2016 tuttavia, il mercato calzaturiero italiano, stando alla nota diffusa da Assocalzaturifici, è riuscito comunque a limitare la perdita nei livelli produttivi confermando i 7,5 miliardi di euro in valore, grazie soprattutto all’export. La stima in valore della produzione Made in Italy per il 2016 pari a 7.515 milioni di euro (+0,3%) Sono stati esportati circa 178 milioni di paia, 1,8 milioni in meno dell’analogo periodo 2015; tali dati comprendono, come sempre, sia la vendita all’estero di produzione realizzata in Italia che le operazioni di pura commercializzazione.

calzaturifici

L’import è invece cresciuto, nei primi 10 mesi, del 2,8% in quantità e del 3,8% in valore, attestandosi (reimportazioni incluse) a 297,5 milioni di paia (8 milioni in più su gennaio/ottobre 2015). La graduatoria dei fornitori è come sempre guidata dalla Cina, da cui provengono 4 scarpe su 10
Inevitabili però le ripercussioni sul fronte occupazionale: le aziende perdono addetti, anche se le aspettative per la prima parte del 2017, pur se poco esaltanti, risultano orientate alla “stabilità”.
Se si considera che l’Istat parla di segnali positivi che vanno consolidandosi nell’economia italiana, (complice l’aumento degli ordinativi nel settore manifatturiero e la crescita della fiducia dei consumatori), l’auspicio è che queste prime indicazioni favorevoli possano estendersi presto alla generalità dei settori produttivi, ridando – attraverso la ripresa della domanda da tempo attesa – pieno vigore anche alle attività delle aziende calzaturiere, da tempo costrette ad affrontare una situazione congiunturale assai critica.

Passando all’analisi per tipologia merceologica, le scarpe con tomaia in pelle (-1,3%, con un -5,1% in volume) restano di gran lunga la voce più esportata (101,3 milioni di paia, ovvero il 57% sul totale quantità); segni negativi per quasi tutte le voci, tranne che per le scarpe di sicurezza con puntale di metallo; male scarponcini e stivali (-8% circa, sia in quantità che valore), sandali. Bene il comparto sintetico e le scarpe con tomaia in tessuto/materiali diversi (salite del 5% in volume e del 20,8% in valore).