negozio-3Secondo lo studio di Confesercenti, dal 2011 ad oggi le famiglie hanno diminuito la spesa di 2.530 euro l’anno, impattando in modo importante sul commercio, con 32.000 negozi chiusi. I consumi sono responsabili del 60% del valore aggiunto. Se si fermano, si ferma anche il Pil: nel 2019 si manterrà a malapena sui livelli del 2011, ma ben sotto al livello pre-crisi, per circa 70 miliardi di euro.
Tra i settori più colpiti dai minori consumi ci sono quello dell’abbigliamento e delle calzature che sono scesi del 17,5% in otto anni, per un totale di 8 miliardi di spesa in meno. Assieme, i due comparti della moda si accaparrano oggi una fetta del 4,4% dei consumi totali, meno di un terzo del 13,6% negzio-2registrato nel 1992 che ci poneva, a pari del Giappone, al vertice della classifica mondiale per spesa.
Il processo in parte è dovuto a motivi culturali: oggi lo status symbol è sempre meno un vestito o un paio di scarpe, quanto piuttosto uno smart phone di ultima generazione. Inoltre, si sta diffondendo sempre più l’e-commerce (il rapporto stima che per tre esercizi specializzati chiusi, nasce una nuova attività in rete).
Ecco perché Confesercenti ammonisce “è giunto il momento di creare specifiche misure di sostegno per il settore abbigliamento-calzature”.
L’outlook per il commercio del 2020 è soggetto a diverse incognite: l’aumento dell’Iva che sarebbe deleterio e che comporterebbe -8,1 miliardi di spesa da parte delle famiglie italiane. Il reddito di cittadinanza, invece, potrebbe portare ad un aumento dei consumi stimato nell’ordine di 7 miliardi di euro in tre anni.
Ma il fattore che secondo Confesercenti sarebbe decisivo nello sbloccare i consumi è “ridurre il costo del lavoro e far ripartire i salari”.