Se gli abboccamenti tra Clia, Cec e gli sponsor dovessero andare a buon fine, finalmente il WFC verrebbe ospitato nel paese che a ogni titolo è il leader dell’industria calzaturiera mondiale, sia sul versante della produzione, che delle esportazioni e dei consumi.

Dopo Bruxelles, scelta perché anche sede della CEC, e dopo Logroño in Spagna, Rio de Janeiro in Brasile e León in Messico, dove si è tenuta l’ultima edizione nel 2014, finalmente un WFC in Cina andrebbe a premiare il ruolo che il paese riveste a livello globale per il settore. Un riconoscimento politico dovuto, nonostante tardivo, che trova le ragioni di questo ritardo nelle tensioni innescate dalla prima globalizzazione nei paesi che vantavano una lunga tradizione calzaturiera.

Nonostante le problematiche della globalizzazione siano ben lungi dall’essere risolte, oggi, i tempi sono maturi per un WFC in Cina: sembra che finalmente l’ammonimento di Zhang Shuhua, allora Vice Presidente della Clia, al WFC di Logroño “La Cina non deve essere percepita come una minaccia, ma come una opportunità. Ogni industria della calzatura si può ritagliare il proprio ruolo nel mondo globale” sia stato finalmente raccolto.

Sebbene la calzatura cinese goda ancora di indubbi vantaggi economici competitivi derivati dal basso prezzo, le contestate pratiche di dumping sono state ridimensionate e molte delle critiche che in passato si attribuivano alla sua industria della pelle e calzaturiera – come il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, le pratiche inquinanti, etc – hanno avviato nel paese un profondo ripensamento dei modelli di sviluppo. Certo, di strada ce n’è ancora da fare in questa direzione, ma ormai la Cina ha preso il via e, assieme ai numeri, oggi punta alla qualità. In ogni campo.